Sulle colonne del NYT Eric Asimov tributa la quarta strada al vino, capace di emergere nonostante i giudizi contrastanti.
Un vino imperfetto, ripetitivo, opaco. E nonostante ciò capace di esprimere una cultura millenaria oggi più che mai viva. Questo sembra il senso delle parole che il celebre critico dedica agli orange wine sulle pagine del New York Times.
Una tipologia che nasce dalla voglia di riportare alla luce una tradizione lungamente preservata in alcune parti del mondo, aggiornandola con tutto il fascino di un hipster “that bewitches bargoers from London to Tokyo”. È la Georgia la culla di questa tipologia di vini, ed è là che Josko Gravner, apprezzato viticoltore convenzionale degli anni ’80 e ’90, ha trovato quel qualcosa che soddisfacesse la sua voglia di diversità. Tornato in Italia con le anfore necessarie alla sua vinificazione ossidativa, è stato tra i pionieri di un fenomeno che con il tempo ha coinvolto numerosi altri produttori italiani, tra i quali Stanko Radikon, La Stoppa e Paolo Bea.