La pandemia non ferma la marcia del Made in Italy agroalimentare. Bene i cereali e gli ortaggi, male vino e florovivaismo.
Nell’analisi delle performance del nostro sistema economico durante la pandemia interviene anche Ismea, che concentrandosi sulle esportazioni agroalimentari descrive una loro inattesa crescita fino a 22,1 miliardi di euro, che corrisponde a un +3,5% rispetto allo stesso periodo 2019.
Nonostante l’arretramento subito nei mesi di aprile e maggio, chiusi rispettivamente -1,5% e -10,2% su base annua, il settore ha dimostrato una particolare vitalità, riprendendo fin da giugno (+3%) il trend mostrato nei primi tre mesi dell’anno, durante i quali le esportazioni segnarono un incremento medio del 10,4%. Grazie inoltre alla contemporanea riduzione delle importazioni, la bilancia commerciale di settore ha chiuso il periodo con 700 milioni di attivo (22,128mld € / 21,418mld €).
Il confronto con lo scambio globale con l’estero intrattenuto dall’Italia nel primo semestre dell’ultimo decennio evidenzia in modo inequivocabile il crescente peso dell’agroalimentare sulle esportazioni totali di beni e servizi. Partendo dal 7,2% del 2012, esso è infatti cresciuto costantemente, fino a raggiungere l’11% rilevato lo scorso giugno.
Gran parte del prodotto esportato finisce nel mercato comunitario (14,3mld €), con la Germania primo paese importatore in assoluto (3,8), seguito da Francia (2,5) e Regno Unito (1,6). Per quanto riguarda i mercati extra-UE (7,9mld €) gli USA rimangono la più importante piazza di destinazione (2,3), precedendo Giappone (0,97) e Svizzera (0,83).
Spinto al ribasso da un disastroso mese di maggio (-24,2%) l’export vino è calato del 4,1% rispetto all’anno scorso, mostrandosi incapace di seguire gli altri prodotti nel rilancio generalizzato di giugno (-4,3%). Come già indicato in un precedente articolo, questa contrazione ha riportato il valore delle esportazioni enoiche sotto la simbolica soglia dei 3 miliardi di euro superata nel 2019 (2,89).