L’agroalimentare sul banco degli imputati secondo Fondazione Barilla

di Federica Borasio

Secondo il rapporto “Fixing The Business of Food: How to align the agri-food sector with the Sdg” è responsabile di gran parte delle emissioni globali di gas serra e del consumo di acqua disponibile nel mondo.

Una stilettata in piena regola, quella inflitta all’agroalimentare dall’ultimo rapporto “Fixing The Business of Food: How to align the agri-food sector with the Sdg” stilato da Fondazione Barilla, da cui è emerso che, a livello globale, il settore incide in una percentuale del 37% sulle emissioni di gas serra e del 70% sul consumo di acqua disponibile nel mondo, con cattive performance anche per l’Italia, dove l’agroalimentare è responsabile del 7% delle emissioni nazionali. “I prossimi cinque anni saranno cruciali perché dobbiamo portare a bordo quanti più produttori, fornitori e distributori possibili – dice Guido BarillaMolti dei nostri colleghi e molti altri attori del mondo delle imprese potrebbero percepire il cambiamento come un pericolo e non avere il coraggio di agire davvero all’interno delle proprie aziende e di prendere decisioni molto difficili”.

Per incentivare la convergenza con i diciassette obiettivi di sviluppo sostenibile (Sdg) fissati dall’ONU, il presidente del gruppo emiliano invita quindi le istituzioni ad aumentare i finanziamenti alle pratiche green, destinatarie oggi di un misero 8% dei fondi rivolti al settore. “Stiamo andando a rilento nel raggiungere gli obiettivi di sostenibilità e stiamo perdendo tempo nel razionalizzare i pericoli, nel ridurre i rischi dei cambiamenti climatici e dei problemi legati alla sostenibilità. Non possiamo permettercelo. Dobbiamo agire subito”. L’atteso conseguimento di questi obiettivi porta però inevitabilmente a citare in causa anche la strategia Farm to Fork della Commissione Europea, che trova nella sostenibilità la strada per proteggere la salute e il benessere delle persone e del pianeta, rafforzando al contempo la competitività e la resilienza dei sistemi alimentari. Interventi peraltro non scevri da un rilevante impatto economico, che la Commissione Ue stima in quasi 2mila miliardi di euro.

Lo studio, condotto in collaborazione con l’SDSN – Sustainable Development Solutions Network, il CCSI – Columbia Center on Sustainable Investment e il Santa Chiara Lab dell’Università di Siena, propone infine i suoi ‘quattro pilastri’, sui quali le imprese agroalimentari dovrebbero improntare le proprie strategie future: promuovere e sviluppare diete sane e sostenibili attraverso prodotti e strategie aziendali mirate; utilizzare pratiche operative e processi aziendali sostenibili dal punto di vista economico, ambientale e sociale; sviluppare filiere alimentari sostenibili e avere un atteggiamento aziendale responsabile, che rispettino i criteri della “good corporate citizenship”.