La pandemia si abbatte su decine di migliaia di ristoranti e bar, costretti ad abbassare le serrande per la seconda volta.
La mobilitazione dei rappresentanti di categoria non ha dissuaso il Governo, che anzi ha ulteriormente ridotto il raggio d’azione di ristoranti, pub ed enoteche posti all’interno delle zone rosse e arancioni individuate dal Ministro della salute Roberto Speranza. Ai locali situati in Piemonte, Lombardia, Calabria, Valle d’Aosta, Puglia e Sicilia il Dpcm approvato ieri impone infatti la chiusura totale, consentendo però, fino alle ore 22, le attività di consegna a domicilio e somministrazione d’asporto. Nelle restanti regioni permane invece l’obbligo di chiusura entro le 18, orario oltre il quale i locali potranno svolgere attività di consegna a domicilio e somministrazione d’asporto.
Una situazione questa che si ripercuote inevitabilmente anche sui produttori di vino, come ben spiegato da Giovanni Busi, presidente del Consorzio Chianti, secondo cui la chiusura anticipata provoca ai locali una perdita del 70%, cioè quanto vino è consumato dall’aperitivo in poi. “È un colpo durissimo al settore” la sintesi di Busi.
Ad alimentare ulteriormente la tensione si innesca anche il dibattito attorno al recente Decreto Ristori. Sono già molte, infatti, le pressioni per una revisione al rialzo dei ristori previsti dal precedente decreto, che riconosce contributi a fondo perduto fino al 200% delle perdite per la ristorazione e al 150% per bar senza cucina, gelatiere e pasticcerie, fino ad un massimo di 150.000 euro. Unanime è invece la richiesta di una maggiore rapidità ed efficienza nei pagamenti promessi.
Stando a Coldiretti, ad essere colpita dalla misura restrittiva sarà oltre la metà delle strutture di ristorazione presenti sull’intero territorio nazionale, con una perdita di fatturato stimata pari a 3,8 miliardi di euro “Gli effetti della chiusura delle attività di ristorazione – afferma Coldiretti nella sua nota – si fanno sentire a cascata sull’intera filiera agroalimentare con disdette di ordini per le forniture di molti prodotti agroalimentari. In alcuni settori come quello ittico e vitivinicolo la ristorazione rappresenta addirittura il principale canale di commercializzazione per fatturato. Le limitazioni alle attività di impresa devono dunque prevedere un adeguato e immediato sostegno economico lungo tutta la filiera per salvare l’economia e l’occupazione in un settore chiave del Made in Italy”.