Dopo dieci mesi di trattative è arrivata la fumata bianca sulla Brexit. Salvo un mercato che per il vino italiano vale 771 milioni di euro.
Comunità Europea e Regno Unito hanno finalmente raggiunto un’intesa sui rapporti post Brexit, consegnando ai rispettivi Parlamenti un testo di oltre 1.200 pagine per la ratifica finale, in attesa della quale l’accordo entrerà comunque in vigore, a partire dal 1° gennaio. A consentire questo inatteso risultato, secondo gli analisti dell’ISPI – Istituto Studi di Politica Internazionale, sono stati gli importanti passi indietro compiuti dal Regno Unito, dove crescevano le preoccupazioni per le conseguenze di un No Deal con il mercato che assorbe il 43% del suo export.
Alla notizia, il ministro Teresa Bellanova ha espresso tutta la sua soddisfazione, ritenendo l’accordo “Un buon viatico per il nostro export in un momento già molto complesso. L’Italia potrà continuare ad esportare prodotti agroalimentari senza dazi e senza quote e questo è un risultato importantissimo. È poi assicurata la prosecuzione della massima tutela alle indicazioni geografiche esistenti al 31 dicembre 2020, come previsto dall’accordo di recesso, e ci ripromettiamo di lavorare con i Paesi like-minded affinché adeguata protezione sia data anche alle future IG registrate dopo il definitivo abbandono del Regno Unito dall’UE“.
Di fatto l’accordo punta all’attuazione di un quadro normativo volto a facilitare l’interscambio commerciale, stabilendo un generico divieto di dazi doganali o quote di importazione. Semplificate poi le procedure per la dichiarazione di origine del prodotto, da effettuare con semplice indicazione in fattura o altro documento, e per lo sdoganamento delle merci. Sfoltiti anche i documenti, laddove si consente che la certificazione necessaria all’immissione di un vino nel mercato possa limitarsi ad una semplice autocertificazione autenticata in conformità alla normativa del paese di provenienza. Le parti autorizzano anche l’importazione e il commercio di vino prodotto secondo le pratiche autorizzate dalla normativa vigente e gli standard OIV.
A livello di etichettatura, accanto al generico obbligo che essa si presenti conforme alle disposizioni del Paese di importazione, l’accordo dispensa gli operatori dal presentare una serie di informazioni quali: data di confezionamento, data di imbottigliamento, data di produzione o fabbricazione, data di scadenza e durabilità minima. È infine previsto un periodo transitorio per l’esaurimento delle scorte imbottigliate ai sensi della precedente legislazione comunitaria.
Per quanto permangano dubbi sul futuro di un mercato agroalimentare che per l’Italia vale circa 3,4 miliardi di euro, di cui 771 derivanti dal solo vino, la filiera ha accolto con viva soddisfazione la notizia tanto attesa. Secondo la Coldiretti “È stato evitato l’arrivo di dazi e ostacoli amministrativi e doganali alle esportazioni Made in Italy. A preoccupare erano anche i rischi sulla mancata tutela giuridica dei prodotti a indicazioni geografica e di qualità (Dop/Igp) che incidono per circa il 30% sul totale dell’export agroalimentare Made in Italy e che, senza protezione europea, rischiavano di subire la concorrenza sleale dei prodotti di imitazione inglesi e da Paesi extracomunitari”.
“In un contesto di grande incertezza causata dalla crisi economica provocata dalla pandemia Covid-19 – è invece il commento di Giorgio Mercuri, presidente di Alleanza Cooperative Agroalimentari – è senz’altro positivo che dopo un lunghissimo negoziato, Europa e Regno Unito siano giunti all’accordo. Il no deal avrebbe come è noto fatto scattare le regole dell’Organizzazione mondiale del commercio, con il conseguente ripristino dei dazi sugli scambi e dei controlli alle frontiere”.