Analisi in dieci numeri che raccontano il decennio appena concluso della più prestigiosa classifica enoica. Focus sulla biodiversità e quasi duecento vini recensiti.
Con il trionfo del Rioja 2010 di Bodegas Marqués de Murrieta, anche per Wine Spectator si chiude un decennio di recensioni iniziato sotto il segno dei subprime e concluso nel bel mezzo di una pandemia globale. L’occasione è quindi propizia per allargare il nostro orizzonte temporale alla ricerca delle tendenze che hanno segnato il vino italiano in questo arco di tempo: ve le proponiamo sotto forma di numeri, dieci per l’esattezza, che nel ripercorrere i risultati conseguiti sintetizza per voi le pietre miliari del decennio.
1 – Come il Sassicaia 2015 unico vino italiano a vincere in questi dieci anni. In un paese dominato dai varietali, questa perla enologica firmata Tenuta San Guido rappresenta l’indispensabile eccezione. Dispiace semmai che accanto al Super tuscan non abbia trovato spazio un’etichetta mono varietale, perché l’Italia dei territori ha ben figurato.
4 – Tante sono le presenze in classifica della Cantina dei Produttori di Barbaresco. Una conferma che anche la cooperazione, quando vuole, sa produrre qualità. A seguire da vicino la cantina cuneese tanti produttori toscani, quali Altesino, Antinori, Carpineto, Castello di Monsanto, Castello di Volpaia, Fontodi, a cui si accompagnano la piemontese G.D. Varja e la siciliana Tenuta delle Terre Nere.
7 – Gli anni senza podio per l’Italia. Dopo il lungo digiuno cominciato nel 2011, le ultime tre edizioni della Top100 di Wine Spectator hanno sancito un deciso cambio di rotta, con ben 4 etichette italiane sul podio. Outlook positivo, dunque, e occhi puntati sul Brunello di Montalcino 2016.
8 – Le Denominazioni nella Top10, anche se il podio rimane prerogativa toscana. Si stringono le maglie e diminuiscono i vini capaci di superare la selezione, concentrati peraltro lungo l’asse tosco-piemontese. Tra il quarto e il decimo posto troviamo infatti ben 4 Brunello di Montalcino (Casanova de Neri 2012; Il Poggione 2010; Ciacci Piccolomini d’Aragona 2007 e Campogiovanni 2006) 1 Chianti Classico (San Lorenzo Gran Selezione 2010 di Castello di Ama) e 1 Igt Toscana (Tignanello 2013 di Antinori). Il Piemonte contribuisce invece con 3 Barolo (Massolino 2016; Monprivato 2008 di Giuseppe Mascarello e Figlio, Ciabot Mentin Ginestra 2006 di Domenico Clerico) e 1 Barbaresco (Asili 2011 di Produttori del Barbaresco). All’Amarone della Valpolicella Vaio Amaron 2008 di Masi e all’Etna Doc San Lorenzo 2016 di Tenuta delle Terre Nere il difficile compito di rompere questo duopolio.
A fare invece compagnia al Sassicaia 2015 sull’ipotetico podio decennale, troviamo invece il Brunello di Montalcino Le Lucére 2015 di San Filippo (2° posto, 2020) e i due Chianti Classico San Giusto a Rentennano 2016 (3° posto, 2019) e Castello di Volpaia Riserva 2015 (3° posto, 2018).
17 – su 20 le Regioni italiane presenti in classifica. Nell’attesa che anche Valle d’Aosta, Liguria e Lazio facciano la loro comparsa, ci consoliamo con la presenza senza eccezioni delle regioni meridionali, trainate da quella Sicilia che tanto ha lavorato sulla sua riconoscibilità internazionale.
18 (virgola quattro) – Tante le etichette italiane presenti, in media, in ciascuna edizione della Top100. L’anno più prolifico? Il 2021, quando i vini premiati furono ventuno.
23 a 21. Si chiude a favore di Montalcino l’entusiasmante duello ingaggiato con il Barolo. Nel ruolo di terzo incomodo troviamo il Chianti Classico, tirato a lucido dai grandi sforzi compiuti per ridefinirne la qualità. All’Igt Toscana il compito invece di sottrarre tale categoria all’ingrato ruolo di cuscinetto tra Dop e vini da tavola cucitole addosso dalla legislazione.
32 – Un’etichetta premiata su sei proviene dal Sud Italia, o dalle isole. Tra le regioni ottimi i riscontri per la Sicilia, che piazza nove etichette in classifica e precede il tandem Puglia-Campania, ferme a sei. Tra i territori brilla invece l’Aglianico del Vulture (Gricos 2017 di Grifalco della Lucania, Arberesko 2015 di San Martino, Piano del Cerro 2012 di Vigneti del Vulture, D’Angelo 2012 e Macarì 2007 di Macarico), che precede l’Etna, il Greco di Tufo (G 2016 di DiMeo, Devon 2011 di Antonio Caggiano, Loggia della Serra 2009 di Terredora di Paolo) e il Primitivo di Manduria (Antica Masseria del Sigillo 2014 di Tenute di Emera, LXXIV 2013 e 2010 di Feudo di Santa Croce).
49 – I distretti viticoli premiati da Wine Spectator. Non solo i più rinomati territori, che pur non mancano, bensì una variegata lista di terroir cresciuti al punto di meritare l’attenzione di Wine Spectator, come ad esempio i Vigneti delle Dolomiti (Fontanasanta 2018 di Foradori, Vette 2018 di Tenuta San Leonardo, Pinot Grigio 2017 di Tiefenbrunner e Alta Luna Phases 2009 di Cavit) e il Gattinara (Travaglini 2015 e Nervi Conterno 2015).
82 – Le etichette ‘Made in Toscana’, che è stata la regione protagonista oltre ogni ragionevole dubbio del decennio appena trascorso, grazie alla spinta offerta da Brunello, Chianti Classico e Igt Toscana. Conferme per il Piemonte, che conquista agevolmente la seconda piazza pur non riuscendo a segnare un’affermazione di sistema. Ancora lontano il Veneto, che si consola vincendo la volata del folto gruppo delle regioni ‘a seguire’.