Sotto la guida di Beniamino Garofalo il gruppo guarda a un futuro multicanale confermando un piano di sviluppo che insiste sulla sostenibilità.
Il Pinot Grigio Santa Margherita compie sessant’anni. Un percorso che lo ha portato a diventare uno dei vini italiani più noti e consumati al mondo, contribuendo alla successiva affermazione della produzione enoica italiana al di fuori dei confini nazionali. L’intuizione la si deve al Conte Gaetano Marzotto, che alla fine degli anni ’50 si mise alla ricerca di un prodotto innovativo, capace di distinguersi per peculiarità sensoriali e legame tra vitigno e terroir. La sua scelta cadde sul binomio Trentino-Alto Adige/Pinot Grigio, con quest’ultimo presentato nell’inedita veste della vinificazione in bianco.
Oggi il gruppo Santa Margherita, sotto la guida di Beniamino Garofalo – diventato amministratore delegato dopo una lunga esperienza in multinazionali del calibro di PepsiCo, Heinz e LVMH – si trova a giocare con le dinamiche di un mondo del vino ancora stretto dalla morsa del Covid-19.
Garofalo, iniziamo dal vostro Pinot Grigio, emblema del vino italiano soprattutto sul mercato americano, dove oggi è l’etichetta tricolore più consumata. Quali sono le ragioni di questo successo tra il pubblico a stelle e strisce?
Più d’una evidentemente. In primis c’è il vino: innovativo ai tempi del suo debutto e ancora contemporaneo a distanza di 60 anni. In secondo luogo la garanzia di qualità che da sempre il consumatore riconosce al nostro Pinot Grigio. Porta in sé valori certi e positivi, fin dal lontano 1979 allorché fu incoronato “vino bianco migliore d’Italia” e gli vennero spalancate le porte del grande mercato statunitense. Nel volgere di pochi lustri, anche grazie a mirate azioni di marketing a supporto, in particolare efficaci campagne di comunicazione verso il consumatore finale, divenne il vino bianco italiano più ricercato negli States. Il Pinot Grigio Santa Margherita è il vino che ha cambiato la storia e l’immagine stessa del vino italiano, dimostrando che l’Italia poteva offrire vini sexy. C’è poi la nostra attenzione alla sostenibilità, concreta e di lunga data, che rappresenta un altro valore aggiunto soprattutto nei confronti dei consumatori più giovani e sensibili a questo tema.
Gli Stati Uniti rappresentano ancora oggi il principale mercato di sbocco per il Pinot Grigio Santa Margherita, che resta così da ben quattro decadi saldamente in cima alle classifiche come il bianco italiano più importato e venduto negli USA, nonché leader a valore per il segmento Pinot Grigio.
Il gruppo Santa Margherita è oggi presente in Italia con dieci tenute e vende 22 milioni di bottiglie in 94 paesi nel mondo. Come coniugate questa vocazione globale con la dichiarata attenzione alle comunità locali e alle caratteristiche dei singoli terroir?
Noi portiamo nel mondo le nostre tenute e la specificità del territorio italiano che è un luogo unico per diversità di suoli, clima, prodotti autoctoni, biodiversità. Sarebbe folle pensare di portare nel mondo un generico “vino italiano” mix di tutto questo. No, noi portiamo le diversità del nostro Paese, i tanti dialetti del nostro vino. Il Gruppo è la nostra forza, è una forza che viene generata sia dalla nostra storia sia dal valore delle singole cantine che compongono il Gruppo stesso. Senza retorica e per amore della comprensione: senza il Gruppo, alcune realtà, molto belle, che rappresentano territori eccezionali, che producono ottimi vini, non avrebbero, nonostante tutto ciò, la forza per proporsi nel mondo. Di pari passo il Gruppo non avrebbe sul mercato il valore che ha se non potesse presentare, assieme ai grandi vini che tutti conosciamo, anche l’eccellenza di alcune nicchie, di alcune perle della produzione enologica italiana. A noi tocca il compito di presentarli, di farli conoscere al mondo, ma devo dire che nel mondo questa “originalità” italiana è ben compresa e ricercata.
Con il 2019 si chiudeva un decennio di continua crescita per il gruppo, passato dagli 80 milioni di fatturato del 2009 ai 189 del 2019, di cui circa il 70% generati sui mercati esteri. Vi attendete una perdita per l’anno appena concluso e, in caso affermativo, quanto ci vorrà per un ritorno alla normalità?
Non vedo una cesura così netta di questa fase espansiva perché è stata generata da una forte spinta al cambiamento e ad un ciclo di investimenti come nessun’altra cantina italiana ha oggettivamente fatto: terreni, tenute, tecnologia, uomini. Santa Margherita è diventata un Gruppo solido e strutturato e ha anche avviato la sua società di importazione e distribuzione diretta negli Usa nel 2016.
Sì, quest’anno abbiamo un rallentamento nella crescita del fatturato, come è logico attendersi a fronte di una chiusura prolungata del canale Horeca, ma abbiamo anche realizzato margini reddituali molto interessanti ed abbiamo confermato il piano di investimenti già prefissato. Questa, se vogliamo, è la lezione della pandemia: bisogna rendere sempre più solide le nostre realtà perché non sappiamo cosa ci riserva il futuro. Santa Margherita Gruppo Vinicolo, con lungimiranza e, col senno di poi, anche con fortuna, ha colto gli anni “buoni” per attrezzarsi al meglio.
Horeca, gdo, vendite dirette, e-commerce. Il Covid-19 ha rivelato il carattere multicanale del commercio di settore. Cosa dobbiamo attenderci per il futuro post-pandemico?
Il mondo sarà sempre più multicanale. È la risposta a questa pandemia, la grande lezione di questa emergenza. Nessuno può cullarsi sugli allori e permettersi di trascurare un mercato, un segmento di mercato seppur piccolo, o un canale di distribuzione. Bisognerà essere presenti ovunque e in maniera efficace per cogliere tutte le opportunità. Il mondo del vino non potrà che svilupparsi in questa direzione e questo richiederà ulteriori investimenti. Questo porterà ad una selezione, serviranno masse critiche adeguate: i produttori italiani dovranno imparare a fare più squadra.
In una sua intervista dello scorso giugno affermò di intravedere dei segnali di ripresa per il mercato enologico, dichiarandosi così fiducioso sul futuro. A distanza di alcuni mesi, conferma la sua opinione o l’inatteso protrarsi dell’emergenza sanitaria ha cambiato lo scenario?
Resto cautamente ottimista. Nella pandemia i consumatori hanno cercato sollievo nei prodotti “di fiducia” tradizionali ed il vino ha rappresentato un forte legame con la vita e le abitudini dell’era pre-covid. Lo scenario resta nel suo complesso delicato: è evidente che un prolungarsi della pandemia avrebbe ricadute negative per tutta l’economia, per l’horeca e tutta la filiera sottostante in primis. Confido però in un clima economico nuovo, guidato da leader particolarmente attenti a questo scenario, e in un impegno collettivo contro la pandemia senza tentennamenti e divisioni.
Il presidente Federdoc Ricci Curbastro ha recentemente detto che la sostenibilità è un processo irreversibile. Come si pone la vostra azienda davanti a questo tema, seduto a cavallo di importanti questioni etiche e opportunità di sviluppo commerciale?
Concordo, non è più questione di “green washing” o di mode passeggere. Santa Margherita ha evidenziato questo tema fra i primi: abbiamo raggiunto l’autosufficienza energetica da fonti rinnovabili da quasi un decennio; la maggior parte dei nostri vigneti è a conduzione biologica; da sette anni rinnoviamo il programma di “carbon neutrality” più vasto mai compiuto da una cantina italiana; le bottiglie dei nostri vini vengono realizzate nella vetreria a pochi passi dal cuore della vinificazione, evitando così trasporti a vuoto. Un buon vino nasce obbligatoriamente in un ambiente “sano” e, soprattutto, abbiamo l’evidenza di come una lavorazione attenta alla natura è quella che meglio resiste ad un clima in cambiamento. È un’opportunità di crescita per tutti noi, e vedo una grande sintonia fra imprese e pubblica opinione su questo.
Quale è il rapporto tra i vini Santa Margherita e i concetti di Made in Italy e lifestyle italiano, che sappiamo essere fondamentali per la valorizzazione del prodotto vino?
Santa Margherita “è” lifestyle italiano. È uno dei brand che hanno contribuito ad affermare il Made in Italy nel mondo e che ancora oggi evocano quello stile nato con la “dolce vita” che ha coinvolto la moda, l’industria dell’auto, l’artigianato di design e tantissimi altri settori. Quello che stiamo imparando, anno dopo anno, è proprio che il Made in Italy deve marciare unito con tutte le sue eccellenze. Non dobbiamo dimenticare mai che siamo la super-potenza culturale del mondo e che il vino e gli altri comparti del nostro saper-fare ne sono uno dei tratti di forza.