Le “sbarbatelle” che puntano sugli antichi autoctoni della Romangia

di Giambattista Marchetto

Intervista ad Alessia Manca, che con la sorella Noemi guida la piccola azienda di famiglia sulla costa nord-ovest della Sardegna.

Ad unirci è sicuramente la passione viscerale per il nostro lavoro ricco di incertezze e di imprevisti, ai quali si aggiungono fatica e idee contrastanti”. Alessia e Noemi Manca introducono con queste parole alla filosofia con cui nel 2017 hanno avviato – assieme al padre e al marito di Alessia – il progetto Antichi Vigneti Manca. Le due “sbarbatelle” sarde dichiarano un grande sogno “dipingere dei vini che raccontino di noi, della Romangia e della natura che sovrasta ogni cosa”.

Ecco che sulla costa nord-ovest della Sardegna, tra Porto Torres e Castelsardo, mare e vento di maestrale nutrono i nostri vigneti. Badde Pira, il cru dell’azienda, è un terroir unico che si compone di vecchi alberelli che affondano le radici in terreni prevalentemente calcarei, ricchi di marne bianche un tempo sommerse dal mare. Qui prendono colore i due vini Li Sureddi – rosso e bianco – che dal dialetto rivelano appunto l’anima “le sorelle” che sono custodi dei cloni antichi e allo stesso tempo mescolano caparbietà e leggerezza, da autentiche “sbarbatelle”.

Alessia, ci racconti la tua azienda e il tuo progetto?

Antichi vigneti Manca –azienda in cui sono coinvolti, oltre a mia sorella, anche mio marito e nostro padre – nasce col primo imbottigliamento nel 2017 con l’intento di far conoscere il lavoro che in famiglia svolgiamo da quattro generazioni. La nostra è una piccola realtà di circa 6 ettari vitati con un’età media che si aggira intorno ai 50 anni: da qui nasce appunto il nome di Antichi Vigneti Manca. Ci troviamo in Romangia, nel nord-ovest della Sardegna, e ci consideriamo fieri custodi di cloni antichi autoctoni che con l’andar del tempo si stavano perdendo. Con mia sorella ci occupiamo dell’intero processo produttivo, dalla lavorazione in vigna fino alla vendita.

Con quale filosofia ti approcci ai tuoi vini?

La nostra produzione si concentra momentaneamente su due vini: Li Sureddi rosso e Li Sureddi bianco, che nel nostro dialetto significa “le sorelle”. Entrambi nascono da un’accurata ricerca e selezione dei nostri cloni antichi di cannonau (Retagliadu Nieddu) per il rosso e di vermentino e girò per il bianco. La nostra filosofia è pensare che l’eccellenza di un vino si ottenga già dal ceppo in vigna, avendo innanzitutto rispetto dell’ambiente e poi prediligendo rese basse (circa 30/40 quintali a ettaro) e un accorato lavoro manuale.

Come avete gestito un anno difficile come il 2020 e quali sono le aspettative per il 2021 e nel medio termine?

Ripensando al 2020, devo ammettere che è stato l’andamento degli eventi a gestire noi. Ci siamo dovute continuamente adattare alla situazione che da un giorno all’altro ci ha travolto, ma non scoraggiato. Abbiamo utilizzato quindi quel tempo per portare avanti progetti già avviati, come la realizzazione della nuova cantina. Aspettative per il 2021? Iniziarne la costruzione il prima possibile.

Qual è l’innovazione che vorresti apportare nella tua azienda rispetto al passato?

Una cosa a cui pensiamo da parecchio è sicuramente quella di coinvolgere maggiormente il consumatore, facendogli conoscere sia il territorio che il nostro lavoro. Quindi vorremmo aprirci al più presto all’enoturismo per accogliere quanto prima chi ha piacere e voglia di approfondire ciò che c’è dietro i nostri vini.

C’è un approccio giovane al tuo lavoro? E un approccio peculiarmente femminile?

Anagraficamente parlando la nostra è sicuramente un’azienda giovane – io ho 36 anni e mia sorella 31- ma è proprio la nostra età a darci la spinta per affrontare gli ostacoli in prospettiva di un futuro meno ingrato rispetto al presente che stiamo vivendo. Spesso ci dicono che i nostri vini siano eleganti e strutturati: paradossalmente questa è la perfetta descrizione della nostra azienda che, metà al femminile e metà al maschile, fonde il nostro lavoro e la nostra passione in maniera più che equilibrata.

Fai parte di una generazione digitale. Qual è il tuo approccio ad internet in termini di comunicazione e commercializzazione?

È in un periodo come questo che sicuramente ci si rende conto di quanto internet abbia un ruolo fondamentale. Riuscire a mantenere un contatto con chi ha curiosità di conoscerci è importantissimo: infatti condividiamo volentieri sui social ogni fase in vigna e in cantina, in modo da palesare tutto ciò che facciamo durante l’anno. Per quanto riguarda la commercializzazione cerchiamo, fin dove è possibile, di occuparcene noi in prima persona nei periodi fuori dalla vigna, in quanto ci piace raccontarci mettendoci la faccia. Per il resto collaboriamo con alcuni distributori di fiducia e recentemente abbiamo realizzato il nostro sito e-commerce.

Cosa significa essere una giovane donna in un settore dominato dagli uomini?

Essendo la nostra una realtà consolidata nel tempo già dai nostri bisnonni, per noi devo ammettere che non è stato un problema crearci il nostro spazio. Ricordo ancora oggi quando il nonno si consultava con nonna e insieme decidevano il da farsi: ecco, anche questo è quello che vogliamo tramandare. La tradizione unita alla collaborazione sono dei tasselli che in un’azienda non devono mancare e da lì si crea quella sinergia che dà vita ad un lavoro che si trasforma in passione.

Ti diverte lavorare nel mondo del vino?

Parecchio. Sicuramente non è un lavoro monotono, anzi è sempre imprevedibile soprattutto per noi che ci definiamo artigiani vignaioli proprio perché cerchiamo di assecondare al meglio l’annata, interpretandola in ogni sua fase sia in vigna che in cantina. In vigna perché prediligiamo il lavoro manuale e in cantina perché ci piace dare voce ai vini attraverso fermentazioni spontanee, in modo da renderli il più possibile identitari. D’ altronde “noi il vino lo dipingiamo così”.

Hai un segreto inconfessato che ci puoi rivelare?

Sì… e non si svela!

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