Francesca Bava, sesta generazione della storica famiglia di Cocconato, racconta la sua esperienza a cavallo tra Barbera e Vermouth.
In un territorio fatto di vuoti e agire silenzioso si trova il cuore storico dell’azienda Bava, il cui solo nome è sufficiente a evocare la profondità della cultura enologica piemontese. Una famiglia che, come tante altre da queste parti, coltiva la vite fin da tempi remoti, salvo poi decidere di aprire la sua prima cantina. Siamo nel 1911 e il luogo prescelto è la stazione ferroviaria di Cocconato, piccolo borgo del Monferrato astigiano che sarebbe diventato il punto di partenza per mercati di giorno in giorno più lontani.
Dopo oltre un secolo dalla costruzione della cantina e sei generazioni di Bava susseguitesi, l’azienda ha accolto tra i suoi ranghi Francesca, che dei tre fratelli oggi alla guida è figlia e nipote. Una novità assoluta per un’azienda da sempre a trazione maschile, anche se le donne hanno sempre fatto sentire il proprio peso.
A questa “sbarbatella” impegnata nel difficile compito di marketing manager il compito di tracciare il presente e futuro di un’azienda che ha nel proprio portfolio non solo espressioni delle più importanti denominazioni piemontesi, ma anche quel vermouth che lega la propria identità alla storia di Torino.
Francesca, qual è il percorso compiuto dalla vostra azienda e qual è il tuo progetto?
La mia famiglia produce vino da sempre, o quanto meno dal 1600, anno a cui risalgono le nostre prime tracce negli archivi della parrocchia. Eravamo una famiglia contadina e numerosa che produceva vino per il proprio consumo. La vera svolta fu la nascita, per volere del mio avo Giuseppe, delle Cantine Bava, accanto alla stazione ferroviaria di Cocconato, nel 1911. Albergo, locanda, ristorante e cantina, il nostro era un punto di riferimento per la comunità e per i viaggiatori, e anche se nei 110 anni che sono trascorsi molte cose sono cambiate, mi piace ricordare questo gene dell’ospitalità che ci portiamo nel nostro dna. Oltre ai vini, dagli anni ’70 la mia famiglia produce vermouth e spumanti Cocchi, due mondi paralleli e affascinanti.
Dal canto mio rappresento la sesta generazione di produttori di vino, prima donna della famiglia a ricoprire una posizione manageriale, anche se, essendo da sempre un’azienda familiare, le donne che mi hanno preceduta, a cominciare da nonna Beppina, hanno svolto un ruolo importante. Sono entrata in azienda nel 2015, dopo studi in economia ed esperienze lavorative in Italia e all’estero, che sono stati molto importanti per poter portare nuove esperienze e competenze. Oggi sono sei i membri della famiglia che lavorano in azienda: mio nonno, di 89 anni, mio padre e i suoi due fratelli, io e mio fratello, che si è unito a noi qualche mese fa e segue alcuni mercati esteri.
Con quale filosofia ti approcci ai tuoi vini?
Nelle nostre vigne in Monferrato e Langhe, sulle colline di Cocconato, Agliano, Castiglione Falletto, produciamo un’ampia varietà di vini, che vanno dalla Barbera, che da sempre scorre nelle nostre vene e che proponiamo in quattro espressioni, al Barolo, passando per bianchi e autoctoni meno conosciuti, come ad esempio l’Albarossa. La nostra filosofia aziendale è da sempre improntata alla sostenibilità ‘senza fronzoli’, che ci ha spinto a raccogliere in un manifesto chiaro e coinciso le nostre pratiche quotidiane, coerentemente all’approccio pratico che da sempre ci contraddistingue.
Come Chazalettes invece produciamo tre tipologie di Vermouth di Torino, Rosso, Bianco ed Extra Dry. Qui l’approccio è artigianale e storico, e verte sulla ricerca e riproduzione della vecchie ricette, mossi dalla volontà di recuperare gusti originali del vermouth di inizio secolo e la storia affascinante di una Casa che ha visto il suo momento d’oro negli anni ’20.
Come ci si confronta con la storicità e la tradizione di cui parli?
Mantenendola, valorizzandola, raccontandola. Per la riscoperta di Chazalettes l’approccio è stato archeologico, di studio e rispetto per il passato. A tal proposito ricordo che nel 2021 cadono gli anniversari dalla nascita di Bava (1911 – 110 anni) e di Cocchi (1891 – 130 anni), ed è una grande occasione per riscoprire la nostra storia, su cui stiamo facendo un bel lavoro di ricerca. Un progetto che mi appassiona moltissimo.
Come avete gestito un anno difficile come il 2020 e quali sono le aspettative per il 2021 e nel medio termine?
Ci siamo adattati, iniziando a lavorare in modo diverso, a cercare nuovi canali, cominciando proprio dalla comunicazione. Seppur da lontano, posso dire che abbiamo ci siamo tenuti in contatto con più persone, soprattutto estere.
Comunque non ci siamo mai fermati e quest’anno, particolare e complesso, ci ha dato la spinta per continuare a lavorare con più energia. L’estate scorsa abbiamo presentato un nuovo vino, uno spumante Metodo Italiano rosé da uve Pinot Nero, che era in cantiere da diverso tempo e che abbiamo lanciato in un momento di grande incertezza. Adesso stiamo lavorando a nuovi impianti, nuove vigne. È questo a nostro avviso il miglior modo per tornare a sperare dopo un anno certamente difficile!
Qual è l’innovazione che vorresti apportare nella tua azienda rispetto al passato?
È un momento di grandi transizioni, anche a prescindere dalla pandemia, che vede affacciarsi sulla scena nuovi canali e modi di comunicare, a partire dal digitale. Il mio compito è quello di traghettare verso il futuro la storia, tradizione e savoir faire che le Cantine Bava hanno ereditato dalle generazioni precedenti.
C’è un approccio giovane al tuo lavoro? E un approccio peculiarmente femminile?
Si può dire che mi sono ritagliata il mio spazio, aprendo un ufficio marketing che prima non c’era. Fin dall’inizio ho anche portato avanti un progetto più personale, quello del rilancio di un vermouth storico che non era più in produzione, Chazalettes. Un approccio femminile non so, sicuramente c’è un approccio “Francesca”, che comprende il mio essere giovane donna, il mio carattere, le mie esperienze, i miei studi.
Fai parte di una generazione digitale. Qual è il tuo approccio ad internet in termini di comunicazione e commercializzazione?
È una grande opportunità oggigiorno imprescindibile. Abbiamo sempre avuto una grande propensione all’ospitalità, e amato molto avere visite in cantina per raccontarci al meglio, e raccontare il territorio in cui siamo cresciuti, insieme ai nostri prodotti. Oggi il digitale ci permette di raccontarci con la stessa autenticità e di raggiungere con la nostra storia sempre più persone, in Italia come nel resto del mondo.
Cosa significa essere una giovane donna in un settore dominato dagli uomini?
In azienda non c’è nessuna differenza, contano l’impegno e le competenze che tutti hanno da offrire. Al di fuori mi stupisco ancora di recepire una considerazione diversa rispetto a quella dei colleghi uomini quando mi trovo dietro a un banco di degustazione. Fino a qualche anno fa provavo rabbia quando mi chiedevano di “parlare con il titolare”, poi ho iniziato a reagire con ironia.
Ti diverte lavorare nel mondo del vino?
Moltissimo, spero di continuare a divertirmi così anche in futuro. Mi sento fortunata a lavorare in un ambiente stimolante dove operano persone appassionate, che mi consente al contempo di continuare il mio personale percorso di crescita e apprendimento.
Hai un segreto inconfessato che ci puoi rivelare?
Nessun segreto!