La ‘sbarbatella’ cresciuta tra i profumi del verdicchio

di Giambattista Marchetto

Marika Socci è la terza generazione di un’azienda a conduzione familiare sulle colline di Jesi, concentrata nell’esaltare la versatilità del grande bianco marchigiano.

Nel cuore della zona di produzione del verdicchio firmato Castelli di Jesi, la Cantina Socci è una piccola realtà a conduzione familiare guidata oggi dalla “Sbarbatella” Marika, terza generazione di un progetto che ha preso forma nel 1973. Fu infatti il nonno a ritornare alla terra, elevando la collina di Montedeserto a proprio cru aziendale.

Passata in seguito sotto la conduzione di suo padre, che la stessa Marika non stenta a considerare l’innovatore di casa preservando per lei e le altre donne di famiglia il ruolo di ‘aurea mediocritas’, l’azienda ha continuato e continua tuttora nella sua opera di valorizzazione del verdicchio, vitigno le cui immense potenzialità sono oggetto delle continue attenzione della famiglia Socci. Ed è proprio a riguardo di questo connubio fra percorsi consolidati e futuro che Marika racconta la sua personale esperienza nel mondo del vino, segnata dal forte legame con l’ambiente circostante e da una prospettiva assolutamente genuina, che la pone come perfetto interlocutore di uno dei territori più importanti nel panorama enoico italiano.

Marika, qual è il percorso compiuto dalla vostra azienda e qual è il tuo progetto?

Raccontare la mia azienda è sempre una grande emozione, perché mi consente di ripercorrere una storia familiare iniziata nel 1973, quando mio nonno Umberto decise di impiantare un vigneto al centro dell’area classica di produzione del verdicchio dei Castelli di Jesi, per tornare alle sue origini e soddisfare la sua passione verso la viticoltura. Essa continua poi con mio padre, alla cui caparbietà si deve la decisione di imbottigliare le nostre uve. Nonno e padre, due figure che simboleggiano il rapporto che la nostra famiglia ha con la terra, per noi sinonimo di libertà, di soddisfazione e di tutti i sacrifici che vale la pena fare per raggiungere un risultato finale dal grande valore. Con mia sorella Martina siamo cresciute tra vigna, cantina e chiacchere sul vino, fino a quando, 10 anni fa, io sono entrata attivamente in azienda, con la voglia di contribuire alla sua crescita ed entrare così in quella storia di cui ti parlavo. Sebbene in una cantina familiare tutti si occupano di tutto e, oltre ad affiancare i miei genitori in vigna e cantina, gestisco il rapporto con i clienti, che si tratti di vendere o comunicare. È mio il compito di raccontare “chi siamo” e “come lo facciamo”.

Oggi portare avanti una piccola azienda significa superare tante difficoltà potendo contare solo su sé stessi, in un eterno confronto contro due imprevedibili compagni di viaggio, quali sono il tempo e il clima. Non è semplice, ma nell’altro piatto della bilancia ci sono i piccoli successi frutto del nostro lavoro e la bellezza di poterli condividere con la famiglia e con i clienti che hanno creduto in noi. Poterci confrontare con noi stessi e metterci sempre in gioco ci tiene vivi e ci fa alzare ogni mattina con il sorriso!

Con quale filosofia ti approcci ai tuoi vini? 

L’unico vitigno con cui lavoriamo è il verdicchio, che è potente, estroso, capace di stupire. E sono proprio queste sue caratteristiche che ci consentono, in soli tre ettari, di produrre sei etichette di verdicchio dei Castelli di Jesi, di cui quattro in versione ferma e le rimanenti come metodo classico.  Pur legati da un filo conduttore rappresentato dal territorio, ciascuno dei nostri vini ha una sua personalità, evidenzia cioè un tratto distintivo del verdicchio dei Castelli di Jesi, che emerge semplicemente modificando il periodo di raccolta e le tecniche di vinificazione. Questo fa sì che ogni bottiglia vanti una sua storia, a partire dal nome e dall’etichetta, fino a ciò che si trova al suo interno.

Come avete gestito un anno difficile come il 2020 e quali sono le aspettative per il 2021 e nel medio termine?

In questo anno difficile siamo rimasti vicino ai nostri clienti, aiutandoci a vicenda. Le vendite agli amici privati ci hanno aiutato molto, sia economicamente che moralmente. Questa estate abbiamo accolto così tanti appassionati in vigna che non abbiamo avuto davvero tempo di perderci d’animo. Ciò che ci aiuta ad andare avanti è la consapevolezza che, nonostante le difficoltà che incontreremo, ci sarà sempre spazio per i nostri vini finché continueremo a lavorare con la stessa cura e dedizione di oggi.

Qual è l’innovazione che vorresti apportare nella tua azienda rispetto al passato?

Sicuramente l’innovativo di casa è mio padre, richiedendo a me, mia mamma e mia sorella il (difficile) compito di mantenerlo con i piedi per terra. Sua l’idea di utilizzare, dal 2006, il tappo in vetro per Deserto, il nostro verdicchio più rappresentativo che produciamo da oltre 40 anni, oppure di lavorare, dal 2009, con la crio-estrazione selettiva, che significa congelare completamente le uve prima della pressatura. Nel 2018 siamo arrivati a lavorare le uve in un vinificatore innovativo chiamato Vinooxyen, che ci ha permesso di svolgere l’intera vinificazione senza alcun travaso.

Storicità e tradizione. Come ti confronti con questi due temi?

È quanto di più prezioso abbiamo. Non c’è innovazione senza tradizione. A tal proposito cito la retro-etichetta di uno dei nostri vini: “La tradizione resiste l’innovazione insiste”, a sottolineare che non può esistere l’una senza l’altra.

C’è un approccio giovane al tuo lavoro? E un approccio peculiarmente femminile?

Per rispondere alla prima domanda devo partire dal fatto che con i miei genitori esiste un rapporto basato su condivisione e rispetto e che, nonostante i trent’anni che ci dividono, siamo sempre nella stessa linea di pensiero. Questo fa sì che l’intera famiglia sia pronta ad accogliere un cambiamento consapevole, utile ad evolversi e migliorarsi. Per quanto riguarda invece l’impronta femminile, che significa maggiore accortezza e sensibilità, non posso negare ci sia. Prende forma nella comunicazione, nell’accoglienza, in alcuni aspetti dell’etichetta o nella scelta delle bottiglie.

Fai parte di una generazione digitale. Qual è il tuo approccio ad internet in termini di comunicazione e commercializzazione?

Internet è una forma di comunicazione molto potente che, permettendo a una piccolissima realtà marchigiana di far capire chi ci sia dietro le sue bottiglie, ha fatto sì che “fossimo scelti”. In definitiva è un grande valore aggiunto, che ci aiuta a creare un legame fatto di fiducia e rispetto con i nostri clienti, anche i più lontani.

Cosa significa essere una giovane donna in un settore dominato dagli uomini?

Significa farsi valere. Significa essere preparata, coraggiosa e rispettosa per poter pretendere lo stesso dagli altri.

Ti diverte lavorare nel mondo del vino?

Tantissimo. Mi ha permesso di realizzarmi, di incontrare me stessa, mettendomi alla prova e rafforzandomi. Mi ha altresì fatto incontrare persone importanti, che condividono la mia visione del lavoro e dei valori della vita.

Hai un segreto inconfessato che ci puoi rivelare?

Mai confessare, i segreti restano nel cuore!

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