Intervista a Manuel Follis (MF) sulle opportunità di un asset fluttuante – e passionale – in un portafoglio di investimenti ragionato.
Aste milionarie per etichette pregiate, barrique vendute en primeur ad amanti di investimenti liquidi e scommesse sulle annate di peso delle migliori denominazioni. I fine wines sono sempre più spesso sotto i riflettori per il loro potenziale di ritorno in un portafoglio ragionato di investitori curiosi.
VinoNews24 ha voluto approfondire il tema con Manuel Follis, firma di punta di MF (in passato ad Affaritaliani.it, e collaboratore di Panorama Economy e Il Mondo) che sul settimanale Milano Finanza si occupa dell’appuntamento Motore Italia, nel quale vengono presentate alcune eccellenze dell’industria italiana, e ha collaborato alla realizzazione del libro e del progetto Milano Capitali.
Manuel, quale pensi possa essere il peso dei fine wines nello scenario delle scelte di investimento?
Il momento storico e i tassi mantenuti bassi dalle banche centrali rendono gli investimenti nei cosiddetti asset “alternativi” particolarmente interessanti. In questo senso, tutte le asset class che possono generare ritorni in doppia cifra vengono considerate e i vini pregiati anno dopo anno stanno prendendo sempre di più questa direzione.
I fine wines possono risultare un investimento da inserire in un portafoglio differenziato anche per investitori istituzionali?
Sì, a patto che chi propone l’investimento abbia presente quali sono le richieste tipiche degli investitori istituzionali. È meglio che non si tratti di micro-investimenti, che non permettono di allocare quantità significative di un portafoglio. E bisogna chiarire in partenza il problema della liquidità dell’investimento.
Quale evoluzione credi possa esserci nel posizionamento del vino in portafoglio per i privati?
I privati paradossalmente possono godere di più dell’investimento in vino, per una serie di motivi: sono spesso disponibili ad allocare anche quantità inferiori di risparmi, sono più flessibili sul timing con il quale realizzare l’investimento e molte volte sono guidati da una passione personale, che rende la scelta più consapevole.
L’investimento in vino è legato a una scelta di passione ovvero può essere considerato un asset neutro e di valore intrinseco?
Un filo di passione è necessaria. Sia per capire meglio quando e cosa comprare sia per evitare panico nel caso di fatica nel disinvestimento. Conoscere la qualità di un’annata ad esempio è fondamentale. Più gli strumenti si fanno complessi e permettono distanza dal bene (come avviene ad esempio con i futures sul vino) più diventano un investimento che si allontana dalla passione e guarda solo al valore. Un altro caso di investimento slegato dalla conoscenza del vino è quello immobiliare, nei terreni vitivinicoli, il cui valore e il cui mercato possono prescindere dalla passione.
Quali sono le evoluzioni nel segmento fine wines come ambito di investimento? Ci sono statistiche che mostrano un’evoluzione?
Intanto, alcune cantine, aree geografiche e consorzi stanno lavorando sulla reputazione del brand e questo ha ampliato la scelta. Vent’anni fa l’investimento in Barolo, Amarone o Brunello, per citare vini italiani, non veniva minimamente considerato. L’investimento riguardava solo vini francesi. Oggi aumenta la presenza dei vini nelle aste, e sta aumentando la cultura in materia. Resta che se parliamo di “vino da investimento” parliamo di un bacino in crescita ma sempre legato a un numero di etichette selezionate nelle migliori annate. Solo queste bottiglie generano una reale plusvalenza. Sono interessanti i meccanismi di investimento sull’en primeur italiani che si differenziano dalla modalità tipica francese e puntano proprio a solleticare oltre al gusto il lato prezzo/attesa/rendimento.
I grandi vini da invecchiamento possono essere considerati un bene rifugio? Ci sono delle analogie tra l’investimento in vino e investimento in arte?
L’analogia è perfetta. Un vino o un quadro sono un perfetto bene rifugio con caratteristiche simili. La prima è la difficoltà di monetizzare, cioè l’uscita dall’investimento. In compenso la longevità va ben oltre quella classica di un fondo di investimento. Anche se all’aumentare del timing aumenta la cura che va posta nella conservazione.
Nell’investimento sul vino conta di più la denominazione (esempio Brunello di Montalcino) ovvero l’etichetta e dunque il brand (esempio Sassicaia o Romanee Conti)?
L’esempio francese mostra che la strada più fruttuosa è quella che valorizza una denominazione e il Brunello di Montalcino sembra essere un ottimo esempio. Per un ulteriore sviluppo diventa fondamentale garantire uno standard medio elevato e quindi, per dirla in soldoni, non lasciare spazio ai furbetti. Resta che alcune etichette nel mix tra buon lavoro di marketing, passaparola e moda, riescono sempre a risultare best in class.