Dal suo piccolo Vignale Monferrato, Beatrice Gaudio tratteggia il futuro della sua terra, dove prendono forma un grignolino di grande potenza e una barbera storicamente vivace.
Da oltre un secolo nelle colline del Basso Monferrato la famiglia Gaudio è impegnata nella coltivazione dei vitigni tipici di un’area ad alto tasso di biodiversità, con l’obiettivo di trasferire nelle circa cento mila bottiglie prodotte tutta la bellezza del proprio territorio.
Seguendo le orme del nonno prima e del padre poi, Beatrice Gaudio, la “sbarbatella” di Vignale Monferrato, oggi guida con piglio deciso una cantina da sempre attenta all’innovazione e alla valorizzazione del patrimonio viticolo locale. E per il Monferrato casalese Beatrice vede un radioso futuro, a patto che le generazioni a venire siano in grado di comprenderne il valore e lavorare unite per la sua promozione.
Beatrice, ci racconti la tua azienda e il tuo progetto?
La nostra azienda si trova a Vignale Monferrato e nasce nei primi del ‘900, con il nome di Fratelli Gaudio. Solo quando i fratelli di mio nonno decisero di non proseguire l’attività ha cambiato nome in Bricco Mondalino. Mio nonno Amilcare si diplomò enotecnico nel 1931 alla scuola enologica di Alba, diventando un professionista molto conosciuto e apprezzato in Italia e in Messico, dove ha lavorato per alcuni anni. Nonostante la decisione dei suoi fratelli, volle continuare la tradizione di famiglia costruendo una propria cantina, il Bricco Mondalino appunto, con l’obiettivo di produrre un vino in bottiglia di qualità che fosse rappresentativo del territorio, arrivando a chiedere il permesso di imprimere sulle etichette lo stemma di Vignale Monferrato.
Fu poi la volta di mio padre Mauro che, nonostante una diversa formazione, decise di affiancare il nonno, spinto dalla medesima passione per il vino e la campagna. A lui si deve la crescita dell’azienda, raggiunta tramite l’acquisizione di terreni e vigneti. Fu grazie a questo processo se oggi possediamo circa 15 ettari di vigneto, dai quali otteniamo circa 100mila bottiglie. A loro un ringraziamento sincero, per la lungimiranza che hanno mostrato credendo fermamente nel nostro Monferrato e trasferendo questa passione all’intera famiglia.
È negli anni ’90 che entro in gioco io. A sette anni, nel 1996, per esigenza e per quella mentalità di avvicinare i propri figli al mestiere di famiglia, papà mi ha portata al Vinitaly. Da allora ne ho saltati tre – uno perché in Australia a vendemmiare e due per il Covid. Erano i tempi della ‘paghetta’ settimanale, che mi guadagnavo aiutando a imbottigliare, etichettare, e ,ovviamente, vendemmiare. Con il tempo iniziai ad accompagnare mio padre nei suoi viaggi all’estero, dove talvolta rimanevo, sola, alloggiando da alcuni clienti. Il mio ingresso definitivo in azienda risale invece al 2006, quando, diciassettenne, mi trovai ad affrontare il mio primo Vinitaly senza mio padre, assente per motivi di salute. Qui mi trovai davanti ad una scelta: portare avanti l’azienda oppure vendere.
Dal 2008 al 2011 ho compiuto all’università lo stesso percorso che mio nonno Amilcare aveva fatto 77 anni prima. Tra il 2012 ed il 2014 ho aggiunto la Laurea Specialistica in scienze Viticole ed enologiche all’Università di Asti. Ho poi arricchito il mio bagaglio professionale con tante esperienze all’estero, l’ultima delle quali in Sud Africa. Da questo aprile sono diventata ufficialmente responsabile dell’azienda, dove ad aiutarmi c’è Matteo, che lavora con noi da 13 anni. Posso dire che il mio non sia stato un passaggio netto con una data precisa, ma un lungo percorso iniziato da quando ero piccola.
Con quale filosofia ti approcci ai tuoi vini?
La nostra filosofia è molto semplice: dare voce ai nostri vitigni e al nostro territorio, lavorando per farli scoprire nel modo più genuino e caratteriale possibile. Nel Monferrato vantiamo una storia vitivinicola secolare, portata avanti da intere generazioni di vignaioli. Ciò ti fa capire come i vini che produciamo altro non sono che il riflesso dei vitigni autoctoni del nostro territorio, tra cui spicca il grignolino, da noi proposto in 4 diverse espressioni, tra cui figurano un Cru, il Bricco Mondalino, e una versione Metodo Classico.
Lavoriamo anche con la barbera, che qui assume tratti unici e irripetibili, proponendola nella classica versione di questi luoghi, cioè in versione Vivace. Siamo i primi produttori di Barbera del Monferrato Superiore Docg, in quanto abbiamo da subito creduto nel potenziale di questa Denominazione. Non mancano poi due cru, che provengono dalle nostre vigne più vecchie, quelle di Schiavino, dalle quali produciamo lo ‘Zerolegno’, che già dal nome esprime la nostra idea enologica, e Il ‘Bergantino’.
Oltre a un cortese e un rosé prodotto con un blend tra barbera e syrah, mi piace ricordare la Malvasia di Casorzo “Dolce Stil Novo”, che rappresenta la connessione con le origini casortine di mia mamma, la cui realizzazione fu la conditio sine qua non da lei imposta per accettare in sposo mio padre. Dal 1998, l’anno dopo la scomparsa di mio nonno, papà ha creato il “Gaudium Magnum”, un Monferrato Rosso che produciamo solo in 3 annate ogni decade, e solo nella bottiglia Magnum.
Qual è l’innovazione che vorresti apportare nella tua azienda rispetto al passato?
Guardo con attenzione alla sostenibilità dell’intero processo produttivo. Vorrei inoltre sviluppare un tracciamento microclimatico di ogni particella, nonché una filiera ‘di territorio’ che ruota intorno alla viticoltura, ricercando la cooperazione di giovani che hanno deciso di investire sul territorio, siano essi pastori, boscaioli, artigiani, allevatori. Ed infine sperimentare e perfezionare le vinificazioni più adatte ad ogni singolo terroir, in modo che ogni singola goccia del mio vino racconti l’autenticità del Monferrato.
Come avete gestito un anno difficile come il 2020 e quali sono le aspettative per il 2021 e nel medio termine?
È stato un anno fatto di tensioni e paure, nel quale l’inconsapevolezza su quanto stesse accadendo frastornava noi e i nostri clienti, ma che ci ha offerto la possibilità di riflettere e distinguere le cose importanti dalle superflue. Abbiamo constatato che il rapporto con il cliente, costruito in tanti anni e cementato dal nostro approccio amichevole e dalla nostra passione non è stato messo in discussione dal Covid. E abbiamo cercato di darci una mano reciprocamente. Al contempo abbiamo perso, purtroppo, delle persone a noi care, alle quali ho deciso di dedicare delle etichette, in modo da ricordarle.
Personalmente mi ha inoltre consentito di ritrovare del tempo per me stessa e per il mio rapporto con il vigneto, che nei due anni precedenti avevo perso, stretta come ero tra lavori in cantina e rapporto con clienti e fornitori. Ma la vigna rimane là, intatta come il tempo che richiede. E purtroppo ne avevo sempre meno. Grazie alla pandemia, ho capito come mi devo comportare per tornare alle radici, migliorando anche tutto il resto della gestione aziendale.
Per il futuro abbiamo tanti progetti agricoli, convintissimi che le persone abbiano capito quanto sia importante la terra, un prato, un raggio di sole. E questo a prescindere dalla pandemia.
C’è un approccio giovane al tuo lavoro? E un approccio peculiarmente femminile?
Non so se sia giovane, però è sicuramente semplice: ogni giorno devo realizzarmi nel lavoro, fare qualcosa per sentire che servo a qualcosa. Forse è anche per questo che adoro il lavoro in vigna: sudore, fatica e quella soddisfazione che un filare finito ti dà.
Riguardo alla femminilità è forse scontato dire che essa prende forma nella meticolosità, quasi snervante a volte: perché un lavoro fatto bene resta, mentre un lavoro fatto male ti arresta. Questo è uno spunto che devo a mia madre. O forse, meno banalmente, quello che abbiamo noi donne è la maggiore sensibilità, che ci porta ad immergerci sentimentalmente nel lavoro. Se non devo concentrarmi in modo particolare canto e rido a più non posso in vigna, in cantina, con i clienti.
Come ci si confronta con storicità e tradizione?
Forse ho già risposto in parte a questa domanda: guardare indietro coscientemente, con gli strumenti del presente per costruire un futuro. Dobbiamo far tesoro delle tradizioni di chi ha trascorso una vita intera a lavorare queste terre, senza però farci mai mancare la spinta ad evolvere e migliorare. In tal senso ci vengono incontro i progressi tecnico scientifici che ci consentono di ottenere risultati un tempo insperati.
Fai parte di una generazione digitale. Qual è il tuo approccio ad internet in termini di comunicazione e commercializzazione?
Diciamo che il mio approccio è più diretto rispetto a quello che possono avere i miei genitori, ma allo stesso tempo vedo internet come il profilo di una cornice, all’interno del quale sta la vera sostanza. Non ho fatto studi di marketing, ma i pochi corsi che ho seguito hanno sempre parlato di seguire il cliente, parlare in prima persona, farlo sentire accolto. Questo è quello che fa spontaneamente la mia famiglia, ed è ciò che mi hanno insegnato a fare fin da piccola. Mente aperta e sorriso per chi hai davanti. Ovviamente sono molto contenta della vetrina globale offerta dai social, al cui interno io punto ad essere anziché apparire. Memore dei miei studi liceali direi “Cogito ergo sum” e non “Videor ergo sum”.
Cosa significa essere una giovane donna in un settore dominato dagli uomini?
Stress. Lo confesso. Mi trovo spesso a scontrarmi con uomini che non vogliono ascoltarmi perché sono una donna e secondo loro non sono né adatta né abbastanza intelligente per capire un lavoro da uomo. Niente di più che i classici stereotipi che vogliono una donna debole per definizione. A Vignale ha fatto scandalo il fatto che, dopo un percorso di laurea di cinque anni, io lavorassi in vigneto. Senza un cambio culturale, che le nuove generazioni fortunatamente stanno realizzando, il Monferrato non decollerà mai.
In ogni caso, quando un uomo non mi ascolta, io non parlo ma faccio, ed anche se non condivide la mia decisione io la porto avanti. E la forza di volontà e fisica certamente non mi manca.
Ti diverte lavorare nel mondo del vino?
Così non fosse non sarei qui a parlare della mia vita. È davvero tutto per me, una sorta di favola, sebbene non priva di problemi e difficoltà. Ma è comunque bello e stimolante. Penso poi con piacere alle amicizie che mi ha regato e con le quali, una volta passata l’emergenza, vorrei andare al ristorante ed assaggiare tante bottiglie alla cieca, ridendo e scherzando davanti a del buon cibo.
Hai un segreto inconfessato che ci puoi rivelare?
Vorrei poter parlare con mio nonno Amilcare. Chiedergli cosa pensa di me adesso, che sono laureata in enologia e lavoro nella sua azienda. Vorrei chiedergli se è contento di quello che sto facendo e dei consigli.
Vorrei inoltre che il Monferrato fosse compreso e amato per tutta la meraviglia che ha da offrire. Senza scomodare le Langhe in un inutile paragone, mi limito a dirti che il Monferrato è il Monferrato, con la sua varietà e le sue forme, intatte e dolci. Vorrei tutti lo amassero e contribuissero a riportarlo al suo splendore. E per farlo c’è bisogno di tanta collaborazione.