Giulia Scalzini ha spinto Poggio al Grillo sulla strada dell’innovazione nelle tecniche enologiche per il miglioramento del contenuto fenolico di vini rossi italiani.
Un angolo di Toscana dominato dai profumi della macchia mediterranea di cui innamorarsi. Inizia così la storia di Poggio al Grillo, piccola realtà bolgherese dove Alessandro Scalzini ha deciso di riversare tutta la propria passione per l’aleatico, oggi vinificato in versione rosato e passito.
Ad affiancarlo sua figlia Giulia, una ‘sbarbatella’ cresciuta tra filari e botti che nel tempo ha imparato ad amare questo mondo, tanto da decidere di laurearsi in enologia per dare il proprio contributo alla crescita dell’azienda. Alla sua formazione tecnica si deve l’evoluzione lungo la strada della sperimentazione di quello che, a detta dei suoi amici, è un vero e proprio laboratorio enologico a cielo aperto.
Dalle parole di Giulia traspare tutta la passione che, assieme al padre e al resto della famiglia, riversa nella gestione quotidiana dell’azienda occupandosi un po’ di tutto, in ossequio alla regola non scritta secondo la quale nelle piccole aziende tutti devono fare tutto. Ben decisa a dimostrare tutta la sua professionalità, Giulia guarda al futuro con deciso ottimismo, pronta ad investire ancora in formazione e territorio, che grazie alle proprie competenze tecniche cerca di trasferire intatto all’interno delle 5mila bottiglie attualmente prodotte.
Giulia, ci racconti la tua azienda e qual è il tuo ruolo nel progetto?
Poggio al Grillo è una piccola azienda situata nella valle di Casavecchia, sulle colline di Castagneto Carducci. La sua storia inizia nel 2008, quando mio babbo (cardiologo per professione) decise di piantare circa mezzo ettaro del suo vitigno preferito, l’aleatico. Visti i confortanti risultati ottenuti, quattro anni dopo decidemmo di impiantare altri cinquemila metri, dove assieme all’aleatico facevano mostra di sé alcuni filari di petit manseng. Dal 2016 ci prendiamo inoltre cura di uno dei vigneti più antichi di Castagneto, recuperato grazie ad un intenso lavoro agronomico. Nel 2018 abbiamo ampliato ulteriormente la superficie aziendale con altri cinquemila metri, dove crescono merlot, cabernet franc e una piccola parcella di sangiovese circondata dalla macchia mediterranea. Al 2015 risale, infine, la costruzione della cantina, ridotta nelle dimensioni ma dotata di tutto ciò che serve per valorizzare il lavoro svolto nei circa due ettari vitati che io e mio babbo gestiamo con l’aiuto di mia mamma Eliana, mia sorella Silvia e mio cognato Francesco, nonché degli zii e cugini che condividono con noi i ritmi e le soddisfazioni della vendemmia.
Per quanto mi riguarda, la passione per questo lavoro è maturata seguendo mio padre tra vigne e cantine. Una volta concluso il liceo, ho iniziato a studiare per diventare enologa, anche se in azienda mi occupo un po’ di tutto: seguo ogni passaggio in vigna e in cantina, disegno le etichette, gestisco i social network e mi occupo, assieme alla mia famiglia, della fase di vendita, promozione ed accoglienza dei visitatori.
Quali sono i vini che produci? Con quale filosofia?
Al momento produciamo cinquemila bottiglie. Tremila sono di Rosatico, un rosé a base aleatico ottenuto tramite macerazione di uve selezionate che selezioniamo in vigna, con conseguente possibilità di compiere le opportune scelte agronomiche, che riguardano la gestione della chioma e l’attenzione ad acidità e pH. Stesso vitigno, stavolta in versione passito, anche per le circa 800 bottiglie di Rezeno. Completa la nostra offerta il Corvallo, un blend ottenuto con le uve prodotte dal vigneto ‘restaurato’.
Da quest’anno proponiamo anche le prime bottiglie di rosso dalla nuova vigna. A tal proposito sottolineo come nei suoi primi anni di vita, lasciamo che le piante concentrino le loro energie nella costituzione dell’apparato radicale; poiché lo scorso anno l’equilibrio era già molto buono abbiamo lasciato che producessero un grappolo o due e abbiamo fatto una piccola vendemmia, 250 bottiglie in tutto, per iniziare a prendere confidenza con le nuove varietà. Così è nato “Prova il Primo”.
Come avete gestito un anno difficile come il 2020 e quali sono le vostre aspettative per il futuro?
Lavorando tanto in vigna. Dallo scorso anno abbiamo inoltre iniziato il percorso di conversione al biologico, che ci ha spinto a nuove sperimentazioni, tra cui cito il vermicompost, ottenuto grazie ai lombrichi di cui sono ricchi i nostri terreni. Le logiche difficoltà commerciali dal canto loro sono state attenuate dai tanti messaggi di sostegno giunti dai nostri clienti. A mancarci è stato soprattutto la possibilità di incontrarli, sia durante i nostri viaggi sia nelle loro visite in cantina. La speranza è che tutto questo finisca presto.
Qual è l’innovazione che vorresti apportare nella tua azienda rispetto al passato? Come si conciliano cambiamento e tradizione?
Crediamo molto nella ricerca scientifica, strumento utile a capire e governare i processi, apportando le dovute innovazioni. Per questo continuo a condurre le mie ricerche sulle innovazioni nelle tecniche enologiche per il miglioramento del contenuto fenolico di vini rossi italiani.
Non vedo alcuna contraddizione tra innovazione e tradizione. Basti pensare alle nuove frontiere della conoscenza che ci consentono un approccio più ‘naturale’, come è il caso di quegli studi entomologi che ci evitano insetticidi di sintesi generici perchè degli insetti conosciamo i comportamenti e gli antagonisti naturali, oppure ai progressi in campo viticolo ed enologico, grazie ai quali possiamo scegliere le tecniche capaci di valorizzare le singole uve.
E poi sperimentiamo molto, in cantina e in vigna, tanto da spingere una mia amica a definirci , “un laboratorio enologico a cielo aperto”. Ogni anno è per noi un’occasione per capire qualcosa di nuovo, e migliorare così il nostro sforzo di mettere in bottiglia l’espressione autentica dei vitigni e del territorio. Credo di poter dire che l’innovazione che vorrei apportare in azienda è già in atto.
C’è un approccio giovane al tuo lavoro? E un approccio peculiarmente femminile?
In cantina c’è sempre musica. Per noi ogni vendemmia o imbottigliamento è una festa. C’è un approccio variopinto e ci divertiamo tanto!
Fai parte di una generazione digitale. Qual è il tuo approccio ad internet in termini di comunicazione e commercializzazione?
Nell’ultimo periodo il mio approccio ad internet è cambiato: da semplice svago è diventato uno strumento di comunicazione molto importante. Durante il primo lockdown abbiamo aggiunto un modulo di contatto sul nostro sito utile a segnalare un’attività che vende i nostri vini o, in caso essa non vi sia, a spedire in prima persona i vini desiderati al cliente. Questo è il nostro piccolo sostegno alle tante enoteche e ristoranti che hanno deciso a dare fiducia al vino artigianale italiano. Nel complesso il web ci ha dato modo, nonostante le nostre piccole dimensioni, di raggiungere chi ha voglia di bere una nostra bottiglia ovunque si trovi.
Cosa significa essere una giovane donna in un settore dominato dagli uomini?
Grazie alle molte battaglie combattute e vinte, oggi i preconcetti legati alle diverse responsabilità e mansioni di uomini o donne sono diminuiti, anche se non del tutto scomparsi. Se vi sono dei pregiudizi, il modo migliore di abbatterli è con i fatti. Personalmente frequento vigne e cantine dall’età di 19 anni e ho da subito capito che l’umiltà, la voglia di lavorare e la professionalità sono la chiave per guadagnarsi il rispetto di tutti.
Ti diverte lavorare nel mondo del vino?
Molto! Adoro il mio lavoro, dinamico e frenetico ma allo stesso tempo scandito da finestre temporali relativamente lunghe, che mi permettono di assaporare il gusto di ogni momento. Ogni vendemmia è unica e questo la rende preziosa. Una delle cose che mi piace di più sono le persone che, oltre al vino, condividono con te esperienze di vita. Tutto questo è molto bello.
Hai un segreto inconfessato che ci puoi rivelare?
C’è un nuovo progetto a cui abbiamo iniziato a lavorare. Non posso dirvi di più per il momento, ma lo scoprirete presto…