La Valtellina guarda all’appuntamento olimpico del 2026 con entusiasmo, puntando su crescita e unità della filiera e una moderna lettura enologica della Chiavennasca.
2026. Questo l’orizzonte temporale che la Valtellina sembra essersi posta per il completo restyling del proprio territorio. Sarà quello il momento in cui l’attenzione dell’intero pianeta si concentrerà (anche) su questa valle che dalle sponde settentrionali del Lago di Como corre fino a Sondrio, chiamata con le sue piste da sci ad ospitare i giochi olimpici invernali. Un obiettivo ambizioso, foriero di enormi opportunità in fatto di visibilità, che non possono non coinvolgere anche la sottostante valle, segnata da un articolato sistema agricolo che ha scommesso sulla capacità di fare rete tra gli attori della propria comunità.
Sebbene costretta a piegare la propria volontà a condizioni ambientali spesso difficili, che spiegano la particolare colonizzazione agricola del territorio concentrata sulle pendici esposte a sud, la comunità valtellinese è stata capace nei secoli di preservare coltivazioni e allevamenti oggi tradottisi in un ricco paniere enogastronomico, all’interno del quale fa bella mostra di sé quel nebbiolo, localmente noto come Chiavennasca, la cui presenza in loco è stata probabilmente segnalata già da Virgilio, allorché si riferiva all’uva retica.
A contraddistinguere la sua coltivazione due elementi tra loro intimamente legati, i terrazzamenti, nate per consentire lo l’utilizzo agricolo delle costiere pedemontane, e i muri, la cui costruzione e preservazione è stata oggetto anche di un riconoscimento da parte dell’Unesco. Con i loro 2.500 km di sviluppo lineare essi segnano in modo profondo l’intero paesaggio valtellinese, rendendolo quasi un unicum a livello nazionale.
All’interno di una profonda opera di rivisitazione della propria organizzazione di filiera, indispensabile per mantenerla in linea con le più attuali richieste di mercato che parlano di sostenibilità e valore identitario di un prodotto, la Valtellina si è, di recente, trovata davanti alla necessità di gestire anche il fenomeno enogastroturistico. Dopo anni in cui il suo fondo valle ha rappresentato un semplice punto di passaggio verso le stazioni sciistiche poco lontane, la valle ha, infatti, cominciato ad attirare sempre più persone, desiderose di scoprire in loco un’offerta chiaramente vocata all’alto profilo organolettico. Da qui le numerose sfide che tuttora gli operatori stanno affrontando in materia di accoglienza e pianificazione territoriale, che vedono nell’appuntamento olimpico una dead line imperativa.
Di questo indispensabile cambio di passo organizzativo (e culturale) ci parla Danilo Drocco, neopresidente del Consorzio Vini Valtellina, tra i soggetti più attivi nello stimolare la comunità sottostante al cambiamento e alla sinergia.

credits Consorzio di Tutela dei Vini di Valtellina – M. Mariana
Presidente Drocco, può sintetizzare in poche parole i tratti distintivi della Valtellina?
La Valtellina è montagna, diversità e nebbiolo. Quando si parla di questo territorio non si può, infatti, prescindere dalla sua collocazione lungo i fianchi dell’arco alpino, dato geografico che ha influenzato lo sviluppo dell’intera società che qui vive e lavora, costringendola da un lato a fare i conti con il volto severo della natura e dall’altro plasmando un ecosistema unico. Da esso discende, come in ogni territorio montano che si rispetti, anche il forte senso di comunità che permea la nostra vallata e che, in tempi recenti, sta conoscendo una nuova primavera grazie alla riscoperta degli spazi rurali tra le nuove generazioni.
Ma la Valtellina è anche un teatro dove la vite è chiamata a convivere tanto con altre produzioni agroalimentari quanto con terreni incolti e boschi, elementi che sommati garantiscono una notevole biodiversità, incapace di convertirsi a quella monocultura tipica di altri terroir vitivinicoli. Visivamente ciò si traduce in tanti piccoli vigneti, i cui confini sono segnati dall’elemento che più di ogni altro simboleggia la nostra cultura: il muro. È proprio grazie ad esso se, volendo azzardare, possiamo paragonare la Valtellina a una piccola Borgogna, cioè un tessuto composto da una rete di micro-appezzamenti tra loro divisi da piccoli muretti, gli uni e gli altri difesi da generazioni di vignaioli, anche quando farlo era una scelta assolutamente antieconomica.
E poi abbiamo il nebbiolo, da queste parti chiavennasca, capace di sintetizzare il racconto morfologico e pedoclimatico di questa area, segnata non solo dallo sviluppo verticale e dall’esposizione del vigneto, ma anche dalla composizione di terreni tra loro molto diversi, figli dello scontro tra la placca africana ed eurasiatica che ha generato le Alpi. Il risultato è una variegata proposta di vini, tra loro legati dall’eleganza e finezza tipica dei vini di montagna.
Il discorso sul territorio evoca concetti quali turismo ed esperienze da vivere in loco. A tale riguardo quale è la situazione in Valtellina?
Il rapporto tra la Valtellina e il turismo nasce molti anni fa, quando le vicine montagne hanno cominciato ad attrarre sciatori che attraversavano distratti la nostra valle per raggiungere le piste innevate. In seguito, anche grazie alla crescente sensibilità green che ha spinto sempre più persone a riscoprire la campagna, si è cominciato a parlare anche della nostra valle. In ciò la pandemia, di cui nessuno nega il pesante impatto, si è rivelata una nostra alleata, avendo costretto le persone a un turismo di prossimità che ha reso la Valtellina una metà finalmente ambita.
In termini generali possiamo dire che lo sviluppo del turismo enogastronomico pone un crescente numero di sfide, in quanto non è più la singola bottiglia ma l’intero contesto a dover dialogare con il nostro cliente, che da semplice consumatore di vino si trasforma in ricercatore di esperienze. Sono però convinto che questo territorio abbia tutte le carte in regola per vincere tale sfida, avendo come obiettivo temporale le prossime Olimpiadi del 2026, che daranno a questa regione una visibilità su scala mondiale. Il tutto nella consapevolezza che le caratteristiche della nostra terra ci impediscono di puntare a un turismo di massa.

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Un obiettivo ambizioso, il cui raggiungimento passa anche da un mutato approccio degli operatori territoriali alla loro attività quotidiana. Cosa state facendo in tal senso?
Le linee lungo le quali ci stiamo muovendo sono principalmente due: partecipazione e formazione. Con il primo termine mi riferisco alla necessità di coinvolgere nella discussione tutta la società economica interessata dal miglioramento delle performance turistiche. In tal senso si inquadrano gli sforzi che il nostro Consorzio sta compiendo per aprire canali di dialogo tanto con le altre produzioni tipiche, quali formaggi, bresaola, grano e mele, quanto con ristoratori e albergatori, affinché si giunga a costruire un sistema Valtellina che offra un’esperienza totalizzante ai visitatori.
Perché ciò sia possibile è però necessaria una piccola rivoluzione culturale, che deve portare gli operatori a un nuovo modo di lavorare. Siamo tutti parte di un insieme, che solo tramite il lavoro congiunto e coerente può crescere. Per facilitare questa transizione abbiamo deciso di attivare specifici percorsi di formazione, utili a dare gli strumenti necessari per il tanto atteso cambio di passo. Il problema, paradossalmente, è che siamo così abituati al bello che ci circonda da darlo per scontato. Sebbene il nostro sia un territorio capace di raccontarsi da solo, non dobbiamo mai dimenticare l’importanza della comunicazione e la necessità che ogni operatore diventi uno storyteller capace ed attento.
Ovviamente tutto ciò chiama in causa anche la politica, alla quale chiediamo con forza di sostenere questo sforzo di filiera tramite norme e finanziamenti mirati. Senza vantare nessuna pretesa assistenzialistica è però ovvio che la mancanza delle giuste condizioni normative ed economiche rischia di costituire un limite al rilancio del nostro territorio. Fortunatamente stiamo vivendo una fase in cui i decision maker sono tornati ad interessarsi dello sviluppo delle aree rurali. In tal senso non posso che rivolgere il mio plauso alle istituzioni lombarde, che hanno capito l’importanza delle nostre filiere per il corretto sviluppo economico e sociale della nostra regione.
Tornando per un attimo tra i filari, quale è la situazione del vigneto valtellinese?
Molto positiva, in considerazione dei grandi sforzi compiuti per il miglioramento dei nostri vini secondo le più attuali tendenze di mercato. Fatta salva l’identità del nostro vigneto, come detto incentrato sul nebbiolo ‘di montagna’, è indispensabile riuscire a rileggerlo in funzione dei nuovi gusti dei consumatori. Si spiegano così, ad esempio, gli studi sullo Sforzato realizzati in collaborazione con le Università di Milano e Torino e volti a migliorare le conoscenze relative alle maturazioni polifenoliche cercando di ridurre la gradazione alcolica.
Il tema dello Sforzato mi consente peraltro di compiere una panoramica sull’intero vitigno valtellinese. Come altri territori ‘difficili’, anche il nostro ha conosciuto nei decenni passati un sostanziale spopolamento a favore delle città, capaci di offrire un impiego meno faticoso e più remunerativo. L’intersecarsi però di alcuni fattori come la riscoperta delle campagne, la valorizzazione anche economica delle produzioni agroalimentari e le migliori infrastrutture hanno stimolato un percorso a ritroso che ci fa guardare al futuro con un certo ottimismo. Tutto questo in assenza di significativi progressi tecnici in vigna, sacrificati sull’altare di quella sostenibilità che oggi pervade le nostre terrazze, dove vige ancora la necessità, qualora si debba cambiare un palo, di portarlo a spalla. Proprio questa complessità gestionale, che si traduce in circa 1.500 ore di lavoro ad ettaro, si ripercuote sul prezzo di vendita dei nostri prodotti o, se preferite, sul loro valore percepito. Ecco che ritorna dunque il tema della valorizzazione della Valtellina e dei suoi prodotti, condizione indispensabile per una revisione dei prezzi che garantisca una giusta remunerazione e, di conseguenza, futuro alla Denominazione.
Questo ritorno al vigneto, oltre a rimpinguare i circa 800 ettari di cui attualmente si compone, ci offre un’ulteriore arma nel processo di miglioramento dello Sforzato e nella valorizzazione dei “cru” del Valtellina Superiore. La riscoperta di alcuni vigneti fino ad oggi abbandonati, ciascuno con le proprie caratteristiche, ci regala uno spettro di sensazioni più ampio dal quale attingere, a tutto beneficio del prodotto finito.
Il nostro obiettivo è dunque quello di valorizzare ogni singolo vigneto, sfruttando in tal senso non solo le differenze di contesto, ma anche la capacità del nebbiolo di assimilare queste sfumature. E per un territorio segnato in passato da una difficoltà a spostarsi così accentuata da impedire pure le migrazioni interne delle barbatelle coltivate in un singolo appezzamento, ciò significa poter contare su un’offerta ampelografica e quindi espressiva realmente ampia.

credits Consorzio di Tutela dei Vini di Valtellina – M. Mariana
In queste considerazioni non può mancare un commento sui cambiamenti climatici in atto, che pongono sotto nuova luce le produzioni dei territori di montagna. Quale il suo pensiero?
Siamo tutti parte di un grande movimento teso alla valorizzazione delle eccellenze enogastroalimentari, e dunque mi risulta difficile compiacermi di condizioni che, al contempo, rappresentano un problema per i nostri compagni di viaggio. Detto questo è però innegabile che il progressivo riscaldamento del pianeta offra nuovi orizzonti alla viticoltura di montagna, favorendo una continuità di maturazione impensabile fino a pochi anni fa. Se in passato, infatti, nell’arco di un decennio i viticoltori valtellinesi potevano contare su due vendemmie positive ogni dieci, oggi sono abbastanza rare le annate in cui le uve non riescono a raggiungere i corretti livelli di maturazione.
In conclusione, come si immagina la Valtellina tra dieci anni?
Cercando di sintetizzare quanto detto in pochi concetti chiave il mio ‘sogno’ è quello di vedere tutte le forze presenti in Valtellina unite in un comune sforzo orientato a valorizzare la nostra bellezza. Se da un punto di vista vitivinicolo ciò significa accrescere l’importanza dei nostri viticoltori e del nostro nebbiolo, in termini più ampi equivale a decodificare e promuovere la grande offerta a nostra disposizione.
La Valtellina è un territorio ‘vero’, fatto di gente ‘vera’, e il fatto che è capace di raccontarsi da solo non ci deve fare dimenticare la necessaria attività di divulgazione verso l’esterno, che deve essere improntata a evidenziare le sue peculiarità in un racconto coinvolgente da un punto di vista emotivo. Ciò che vorrei è che il territorio fosse capace di trasmettere non solo la sua autenticità ma anche quel grande sforzo richiesto per preservarlo, percepibile non appena dal fondovalle ci si inerpica lungo i suoi pendii. Per quanto riguarda infine l’arco temporale suggerito sia corretto per un cambiamento che vuole essere effettivo e partecipato, siamo però costretti a dimezzarlo. La presenza nel 2026 dell’appuntamento con le Olimpiadi invernali ci costringe infatti ad essere pronti in soli cinque anni, per sfruttare appieno la risonanza mondiale.
Carta Identità Consorzio Vini di Valtellina
Anno nascita: 1976
Aziende iscritte: 50
Denominazioni tutelate: Sforzato di Valtellina Docg, Valtellina Superiore Docg, Rosso di Valtellina Doc
Ha vitati: 820
Bottiglie prodotte: 2.859.238 (2020), 3.338.859 (2019), 3.209.997 (2018)