Ai piedi dei Colli Euganei, vicino al Castello del Catajo, la famiglia Salvan racconta il territorio con vini che rispettano il vitigno. Accanto agli internazionali, accurate ricerche sugli autoctoni.
Ai piedi dell’imponente Castello del Catajo, una stradina scende da Strada Battaglia verso una dimora di campagna dove gli edifici, l’aia in trachite, le barchesse parlano di una antica fedeltà della famiglia Salvan alla terra. All’ interno del cortile, le cantine. Tutto intorno vigneti.
Nascono qui, dal 1914, i ‘vini del Pigozzo’ firmati Giorgio Salvan. Che li presenta così: “vini generosi che riscaldano i cuori e rallegrano lo spirito”.
Salvan è un “agronomo di lungo sorso” – come si definisce lui stesso – che tra i primi ha portato consapevolezza della produzione vitivinicola dei Colli Euganei. Eppure, più che di tecnica, parla della terra e delle vigne, del lavoro dell’uomo, dello scorrere delle stagioni, delle tradizioni dei luoghi, di arrosti e soppressa fatta in casa, “perché solo dopo aver incontrato persone, gustato cibi, conosciuta la storia ci si può mettere in ascolto, scoprire quanto il vino nasconde, quanto ci vuol comunicare“.
Assieme alla moglie Rosanna, che si occupa dell’accoglienza, e alla figlia Francesca, che si dedica alle degustazioni, Giorgio gestisce una piccola cantina con 20 ettari di vigneti. L’azienda, fondata dal nonno Dionisio come fattoria multicolturale con allevamento di bestiame, è oggi alla quarta generazione.
L’intervista è gustosa e divertente.
INTERNAZIONALI E AUTOCTONI
Più di 70mila piante di vite disegnano le forme dei campi e dei sentieri. Il punto di partenza è la terra e la scelta dei vitigni è legata a questa corrispondenza. Da un lato gli internazionali si collocano sui terreni più vocati, “hanno trovato l’habitat ideale soprattutto i rossi: merlot, cabernet franc e cabernet sauvignon”, spiega Salvan, che d’altro canto ha sviluppato da tempo progetti di sperimentazione sulle varietà autoctone in collaborazione con il centro ricerche della Scuola enologica di Conegliano. Sono “i vitigni dei nostri avi: uve dimenticate, ma che forse hanno ancora qualcosa da raccontarci”.
Da questi percorsi derivano, accanto a etichette che spingono sul monovarietale di cabernet, merlot e friularo, vinificazioni da microparcelle di turchetta e pattaresca.
Produzione media: 1200 ettolitri, da cui deriva un totale di circa 30mila bottiglie (il resto è venduto sfuso).
VINI “ALLEGRI E SAGGI” DA VIGNE “FELICI”
Dopo aver frequentato i corsi di fitopatologia a Bologna, Salvan ha fatto esperienza girando per aziende vitivinicole e ha sempre fatto vino nella cantina di famiglia.
“Solo vigne felici producono uva buona – chiosa – da cui ottenere vini giovani e allegri che sappiano ben maturare e divenire saggi con l’età. Per questo ci impegniamo a curare e rispettare l’ambiente che le circonda. I trattamenti sono ridotti al minimo, la nutrizione delle viti è assicurata dallo sfalcio del cotico erboso. Non si usano diserbanti. A lato dei vigneti siepi e alberi aiutano a preservare la biodiversità e garantire un habitat adatto alla fauna locale: lepri, fagiani, uccelli nonché insetti che fanno parte dell’ecosistema locale”.
Salvan non crede più nel biologico. “Per anni siamo stati certificati Iso 9001 e 14001 – spiega – ma alla fine la burocrazia mi distoglieva dal vigneto. Il rispetto per l’ambiente è un tema cruciale oggi, ma bio attualmente è impostato su modelli poco sostenibili, più legati ai protocolli formali che alla tutale dal pianeta e delle persone”.
CANTINA SECONDO (BUONA) TRADIZIONE
Il lavoro in cantina è “tradizionale”, secondo la definizione dello stesso Salvan. “Io non sono enotecnico o enologo – spiega – lascio che il vino faccia quello che deve. Non lo abbandono, certo, ma utilizzo soprattutto tempo e pazienza. Se oggi si tende a produrre vini stabili e pronti al consumo, io invece non son capace di fare chiarifiche e lascio che il vino si stabilizzi naturalmente, rimandando di un anno l’imbottigliamento per i vini giovani. Poi i vini per il sabato e la domenica possono aspettare anche 2 anni”.
Salvan utilizza acciaio, cemento e botti grandi (da 20/30/60 ettolitri), avendo abbandonato la barrique e dunque interpretando in maniera lungimirante una evoluzione di stile che si sente nei vini. Tutte le referenze passano dall’acciaio al cemento, poi alcune riposano in legno. E rimangono nelle botti di legno o cemento “più a lungo possibile, finché non mi serve la botte”, spiega il vignaiolo.
IL PROGETTO-TURCHETTA
Giuseppe Tocchetti, un vivaista che ha iniziato la carriera presso la cattedra ambulante di agricoltura, raccoglieva vitigni “strani” e proprio a lui si deve il recupero della turchetta. Dal suo lascito alla Scuola enologica di Conegliano nasce la sperimentazione che ha portato Salvan a tornare alla vinificazione degli autoctoni. “Partendo da 62 varietà, ne ho scelte alla fine 12 su cui ho provato a lavorare – spiega l’agronomo curioso – Però il problema non è avere vino buono, ma piante che producano. La gatta fa un grappolo per pianta, la marzemina bastarda è troppo dolce e i fagiani mangiano tutta l’uva, vorrei piantare la pattaresca ma non è autorizzata (per eccesso di vigore vegetativo). Alla fine quelle che davano maggiore affidamento erano le corbine e soprattutto la turchetta”.
Ecco allora il progetto da duemila bottiglie l’anno iniziato con la vendemmia 2018. “È un vino che impone l’incontro con un maiale vecchio – chiosa Salvan – Ottimo per l’arrosto, fa pensare anche a una distesa di cotechini con una coroncina di guancetta di maiale”.
IL VINO CHE FA VIAGGIARE
“Il nostro è un vino che non viaggia, ma fa viaggiare”, sentenzia Salvan. E infatti l’azienda vende quasi tutta la produzione ai turisti che arrivano per il golf, per le terme o perché l’attenzione si spinge oltre Venezia.
L’esperienza enoturistica valorizza l’accostamento ai prodotti del territorio. E il racconto di Giorgio, Rosanna e Francesca vale il viaggio.
APPUNTI DI DEGUSTAZIONE
Frí, Friularo Sur Lie
Uvaggio: 100% friularo (biotipo padovano del raboso Piave)
Vinificazione: brevissima macerazione sulle bucce di 2 ore, salasso del mosto che fermenta senza bucce per 8-10 giorni a temperatura controllata. Imbottigliamento del mosto con un piccolo residuo zuccherino e conclusione della fermentazione in bottiglia
Affinamento: in bottiglie coricate per concludere la fermentazione
Un’interpretazione divertente e inconsueta per un vitigno che vive di tradizione. Questo metodo ancestrale regala al naso la dolcezza dei frutti rossi, mitigata dalle sensazioni di lievito e panificazione. In bocca è abbastanza asciutto da non appesantire il sorso e gioca sui toni citrini, con un finale gessoso.
Colli Euganei Doc Cabernet Franc 2020
Uvaggio: 100% cabernet franc
Vinificazione: fermentazione in acciaio con macerazione sulle bucce per 6-7 giorni
Affinamento: in cemento per 7/8 mesi e breve sosta in bottiglia
I sentori erbacei del cabernet tengono viva la tensione al naso. Stretto e forte, in bocca ha un corpo solido e compatto. Ottimo un abbinamento con carni di agnello.
Colli Euganei Doc Merlot Riserva 2017 (e 2015)
Uvaggio: 100% merlot
Vinificazione: fermentazione in acciaio con macerazione sulle bucce per 8-10 giorni
Affinamento: 12 mesi in botti grandi di rovere, poi 12 mesi in bottiglia
Il 2017 ha appena incontrato la bottiglia e manifesta profumi complessi e lievemente speziati. È un vino lineare, con lo spessore del merlot che si fa strada con pienezza e si percepisce un sobrio arrotondamento derivato dal legno. Nella complessità del sorso, il 2017 è più lineare, mentre il millesimo 2015 è più corposo rispecchiando un’annata calda. L’abbinamento perfetto è con la faraona nutrita a latte e miele.
Carromatto, Colli Euganei Doc Merlot 2019
Uvaggio: 100% Merlot
Vinificazione: fermentazione in acciaio
Affinamento: in cemento per 18 mesi e qualche mese in bottiglia
Emerge piacevolmente la stabilità e la pulizia del cemento in questo vino che rimane snello e verticale. Nonostante i frutti rossi molto presenti, i tannini tengono saldamente in piedi la struttura. Nessuna rotondità inutile, si rivela bello e sfuggente con un piglio acido decisamente piacevole.
Bagnoli Doc Turchetta 2018
Uvaggio: 100% turchetta
Vinificazione: fermentazione in acciaio di 10 giorni sulle bucce
Affinamento: in acciaio per 2 anni e poi bottiglia
È un vino denso e profondo. Introverso e sobriamente elegante al naso, con sentori vinosi legati probabilmente all’età giovane, in bocca ha lo spessore di un vino “antico”, con una nella tensione e un’acidità scattante. Persistenza lunga del sorso.
San Marco, Colli Euganei Doc Cabernet Sauvignon 2016
Uvaggio: 100% cabernet sauvignon
Vinificazione: fermentazione in acciaio con macerazione sulle bucce per 10 giorni
Affinamento: 1 anno in cemento e 24 mesi in botte grande di rovere, poi lunga permanenza in bottiglia
Le sfumature granato del rosso preannunciano spezie scure e sottobosco al naso, mentre all’assaggio spicca una verticalità che i tannini sorreggono, senza essere sgraziati nella loro solidità. Il finale è leggermente sapido e vira all’ematico.
Bagnoli Doc Friularo 2015
Uvaggio: 100% friularo (biotipo di raboso Piave)
Vinificazione: fermentazione lenta in acciaio durante il mese di dicembre, con macerazione sulle bucce per almeno 15 giorni
Affinamento: 48 mesi in cemento e 12 mesi in bottiglia
Colore intenso, al naso richiama profumi rosacei e ciliegia sotto spirito. In bocca l’aromatico emerge con una spinta densa ed elegante, tornano le ciliegie sotto spirito e si sfumano in bacche rossi e spezie. L’abbinamento ideale? Il maiale, perché questo vino richiede piatti grassi.