Il punto di vista del Consorzio e uno spaccato di Doc Roma, attraverso il racconto di quattro aziende rappresentative del territorio.
Circa 175 ettari nella parte centrale della regione Lazio, distribuiti tutti attorno alla Città Eterna. È il territorio della Doc Roma, al cui Consorzio sono associate 47 aziende tra produttori e imbottigliatori. Un consorzio relativamente giovane, nato nel 2018 a sette anni dalla creazione della Doc (2011), per unire e promuovere i vini del territorio sotto un unico potente brand, quello della Capitale.
Oggi, dopo due anni tra pandemia e lockdown, tra le principali sfide in agenda ci sono l’investimento a lungo termine nella sostenibilità di filiera e la conquista della capitale attraverso la ristorazione. Non ultimo, il compito – tipicamente consortile – di coniugare grandi realtà cooperative e piccolissimi produttori, con target e necessità diverse, cercando di mediare il fine comune della promozione.
SOSTENIBILITÀ PER RISPONDERE ALLA CRISI ENERGETICA
Se da una parte preoccupa l’approvvigionamento di materie prime, al rincaro dei costi dell’energia la denominazione risponde con l’investimento in sostenibilità, per incrementare innanzitutto l’efficientamento energetico. “Sono sempre maggiori le certificazioni sulla sostenibilità che andiamo a riscontrare fra i nostri consorziati per utilizzare al meglio i fattori di produzione base – spiega il presidente del Consorzio, Tullio Galassini -. Il nuovo Decreto del Mipaaf che andremo a utilizzare nella prossima Pac ci mette nella condizione di aumentare ulteriormente la nostra resa in sostenibilità ed essere più performanti dal punto di vista del consumo energetico”. “Non possiamo più permetterci di utilizzare tutta l’energia che abbiamo utilizzato fino a oggi”, aggiunge.
Dal punto di vista delle progettualità quindi, in cantiere un’iniziativa in collaborazione con Agroqualità e Valoritalia per quanto riguarda la certificazione Equalitas e Viva per le aziende, ma anche una campagna di promozione sulla città di Roma, indirizzata alla ristorazione, che anche durante lo scorso Vinitaly è stata coinvolta con appuntamenti dedicati all’abbinamento dei vini con piatti e ricette tradizionali. Non manca, attraverso la sostenibilità, uno sguardo all’enoturismo.
IL TERRITORIO E VITIGNI ROMANI
La Doc Roma si estende tra i territori litoranei del Lazio, la Sabina romana, i Colli Albani, i Colli Prenestini e parte della Campagna romana. Un alternarsi di pianure e colline, laghi e territori vulcanici, in cui le viti vengono coltivate fino a un’altitudine di 600 metri, con un clima di tipo temperato-mediterraneo. Tra i vitigni autoctoni ammessi nella produzione dei vini Doc, i bianchi locali come malvasia del Lazio (o malvasia puntinata, per almeno il 50% nell’uvaggio di bianchi e spumanti), bellone (anche chiamato cacchione o arciprete), bombino bianco, trebbiano giallo e trebbiano verde, diffuso fin da tempi remoti e probabilmente chiamato “virdis” dagli antichi Romani. Sul fronte dei rossi, montepulciano (almeno il 50% nella produzione di vini rossi e rosati), cesanese di Affile, cesanese comune e sangiovese. A questi ultimi si affiancano gli internazionali cabernet sauvignon, cabernet franc e syrah, oltre ad altri vitigni a bacca rossa idonei alla coltivazione per la Regione Lazio.
I vini della denominazione si suddividono in sette tipologie di vino bianco (Bianco, Classico Bianco, Bellone, Classico Bellone, Malvasia Puntinata, Classico Malvasia Puntinata, Romanella spumante), due tipologie di vino rosato (Rosato e Classico Rosato) e quattro di rosso (Rosso, Classico Rosso, Rosso Riserva, Classico Rosso Riserva).
Una veduta del lago Albano, nel territorio della Doc (photo credit www.vinidocroma.it)
UNA COMPAGINE ASSOCIATIVA SFACCETTATA
Ci sono le aziende medio-piccole, storiche o nate dall’idea di imprenditori e viticoltori e ci sono le grandi realtà come le cooperative. Come in ogni denominazione, è tutto parte di un mosaico che compone il territorio e che deve essere tenuto insieme e fatto lavorare di concerto.
Gotto d’Oro, da Ezio Rivella al ruolo sul territorio
Nata nel 1945, Gotto d’Oro è una cooperativa che mette insieme circa 200 associati per una superficie totale di circa 1.000 ettari vitati. Nei primi anni 50 è una delle prime cantine a scegliere di commercializzare il vino imbottigliato e da allora è anche una delle prime a sviluppare una moderna rete di vendita, che negli anni 60 raggiunge quasi 2.800 clienti in Italia e nel mondo. È da qui che nel 1957 passa un giovane Ezio Rivella, assunto come enologo, che porta diverse innovazioni tecnologiche in cantina.
Oggi Gotto d’Oro, di base a Marino (RM), ha una produzione di circa 7 milioni di bottiglie l’anno, che raggiungono tutti i gruppi italiani della gdo. Il core business sono la bottiglia in formato 1,5 l e i vini da pasto, circa 50 referenze che si suddividono in tre linee, tra cui la linea Vinea Domini, lanciata nel 2016 e rivolta a horeca ed estero, che comprende vini come il Roma Doc Bianco Malvasia Puntinata 2021 e Roma Doc Rosso 2020.
Da Gotto d’Oro dipende la tenuta di un tessuto sociale fatto da circa 200 famiglie, a cui si sommano quelle legate all’indotto. Un ruolo importante all’interno del territorio e il ruolo può essere cruciale anche nella promozione della denominazione, cogliendo l’opportunità di privilegiare i vitigni e i vini che ne fanno parte, valorizzandoli anche in termini di scelte commerciali.
photo credit www.gottodoro.it
Castello di Torre in Pietra, tra storicità e attenzione nei vini
Uno dei volti storici del territorio Doc Roma è rappresentato dal Castello di Torre in Pietra, a Torrimpietra (Fiumicino). La fondazione risale al periodo medievale e nel 1254 il Castello è citato tra i possedimenti della famiglia Normanni Alberteschi. Da allora è sempre stato attivo nella produzione di vino. All’inizio del XVII secolo raggiunge il massimo dello sfarzo sotto i Peretti, famiglia di Papa Sisto V, per poi passare a vari altri proprietari. Negli anni 20, Luigi Albertini lascia il Corriere della Sera cacciato da Mussolini e ne fa un’azienda agricola per l’allevamento bovino e la produzione di latte, iniziando a reimpiantare vigneti.
Oggi l’azienda è guidata da Filippo Antonelli, proprietario anche della cantina Antonelli San Marco a Montefalco. I vigneti coprono una superficie di 52 ettari, certificati bio dal 2011 e in cantina si lavora su una produzione di qualità in grado di esaltare i vitigni locali.
La villa, con i suoi affreschi, è visitabile e viene anche utilizzata come spazio per eventi e – spesso – riprese cinematografiche, mentre nelle cantine del castello trova dimora l’Osteria dell’Elefante.
Tra i vini, meritano sicuramente un assaggio il Roma Doc Bianco Malvasia Puntinata 2021, dal sorso polposo, agrumato e di bella scorrevolezza, e anche il Roma Doc Rosso Riserva 2019, dal naso dolce e mentolato, ma che al palato rivela un sorso materico, reso lievemente ruvido dai tannini e ottimo per l’abbinamento con sughi di carne e umidi. Entrambi vinificati in cemento.
photo credit www.castelloditorreinpietra.it
Martino V, la Nuova Cantina Sociale di Genazzano ha un’anima giovane
Da cantina sociale a progetto di recupero e rivalorizzazione dei vini. Martino V testimonia l’iniziativa di una nuova generazione di produttori, che si mette in gioco attraverso il vino. “Abbiamo rilevato la Cantina Sociale di Genazzano nel 2015 e ristrutturato tutto il modello di business”, dice Damiano Massida, direttore dell’azienda. “Oggi siamo una delle cantine dall’identità più giovane, l’età media è di 27 anni”.
Situata nei pressi di Olevano, a pochi km dalla provincia di Frosinone, può contare su circa 50 ettari vitati, tra quelli degli associati e quelli in gestione diretta, per un totale di circa 250mila bottiglie prodotte ogni anno. Il principale canale target è la ristorazione e proprio a questo scopo nasce la linea di bandiera “Martino V”, da uve provenienti da vigneti di proprietà. Il Roma Doc Rosso 2019 è un vino di presenza, che al naso chiama i piccoli frutti a bacca scura e note di vaniglia. L’affinamento in barrique di secondo passaggio arrotonda il sorso, senza frenare scorrevolezza e una buona grip tannica. Tra le referenze, anche un vino legato a uno dei progetti più importanti, il recupero della varietà autoctona ottonese.
photo credit www.martinoquinto.it
Emanuele Ranchella, dalla vigna la ricerca sull’invecchiamento dei bianchi
Per Emanuele Ranchella la viticoltura è una questione di famiglia da secoli. A Grottaferrata i Ranchella coltivano, producono e vendono vino dal 1857 ed Emanuele – quinta generazione -, prende in mano i terreni fondando la propria azienda. Un vigneto di 15 ettari dedicati esclusivamente alle varietà locali di uve, che per lui sono l’elemento più importante, da studiare e valorizzare. Due gli appezzamenti, uno posto sulla via Anagnina in località Villa Senni (nei pressi delle Catacombe ad Decimum), l’altro nel cuore della Valle Marciana, appena sotto l’abbazia di San Nilo e il Castello Savelli. Il focus è tutto sui bianchi, sui quali si concentra tutto l’impegno sia in vigna che in cantina. L’azienda produce due referenze, il Roma Doc Bianco Ad Decimum e l’Igp Lazio Virdis, entrambi vinificati in cemento. Ad Decimum è un blend di malvasia puntinata, trebbiano verde e trebbiano giallo, coltivati su suoli di origine vulcanica. Un vino di corpo e dai toni balsamici e salmastri, che nella versione più giovane (2020) richiamano il fiore di cappero e il rosmarino. Ma l’obiettivo di Ranchella è il tempo e il Roma Doc Bianco Ad Decimum dà ottime prove di evoluzione. Nell’annata 2017 mantiene tutte le sensazioni iodate, miste a frutto maturo ed essiccato, balsamicità intensa, per un sorso fresco, dotato di ricchezza glicerica e calore, che allunga sul sale e sulla resina di pino.
photo credit www.emanueleranchella.it