Alghero, il vino e i riverberi del turismo di massa

di Eugenia Torelli

Mentre le aziende più grandi spingono sugli autoctoni, il Consorzio di Tutela cerca l’intesa del territorio per rilanciare l’enoturismo.

Genovese, poi catalana, ma da sempre incondizionatamente sarda, con un’anima che amalgama lingue, culture e tradizioni culinarie. Alghero, detta anche la ‘Barceloneta sarda’, è un meltin’ pot mediterraneo con una storia fatta di dominazioni e contaminazioni che influenzano inevitabilmente anche il vino.

Tra vitigni autoctoni e internazionali, il comparto enoico fa i conti con la necessità di rinnovarsi e di gestire il rapporto con un turismo attratto soprattutto dalle bellezze della costa, che fatica a redistribuirsi sul territorio. E il Consorzio spinge sull’enoturismo per destagionalizzare e mirare a un target più specifico.

ALGHERO E IL VINO
Con quasi 1.350 ettari la Doc Alghero si estende dalla costa verso l’entroterra per circa 30 chilometri, a partire dal comune di Alghero e includendo quelli di Olmedo, Ossi, Tissi, Usini, Uri, Ittiri e in parte Sassari, in quell’area che è chiamata la Nurra Algherese, nella parte Nord Occidentale della Sardegna.

Alla zona corrispondono due primati sul fronte vitivinicolo. Il primo riguarda il comune di Alghero, che ad oggi è quello con la più ampia superficie vitata dell’isola, pari a circa 1.250 ettari (non necessariamente tutti rivendicati sotto la Doc locale). Il secondo riguarda invece la Doc. Nata nel 1995 e tutelata dal 2007 da un Consorzio specifico, quella di Alghero è infatti la denominazione sarda con il maggior numero di tipologie di vino. Una sorta di contenitore che permette di includere i molti vitigni differenti, che per varie ragioni storiche sono presenti sul territorio. Tra gli alloctoni, i bianchi sauvignon blanc e chardonnay, poi i rossi cabernet, merlot e sangiovese (alloctono a tutti gli effetti). Tra gli autoctoni ci sono alcune varietà piuttosto rare, come il torbato (bacca bianca) e il cagnulari (bacca scura). A questi si aggiunge il vermentino, più diffuso sull’isola, che anche qui può rientrare nella maxi Doc regionale.

Photo credit Consorzio Alghero Doc

TURISMO, ARMA A DOPPIO TAGLIO

Nell’era del turismo di massa e della passione per le coste sarde, è quasi scontato dire che ciò che attrae i visitatori ad Alghero non sia in prima istanza il vino. Ma a pensarci bene, gli ingredienti di base per destagionalizzare e portare a casa un turismo più interessato a vivere il territorio e i suoi prodotti ci sarebbero. Non ultimo, un aeroporto – posizionato proprio nel cuore della Doc – che rende la zona rapidamente raggiungibile da Londra, Monaco, Ginevra, Amsterdam, Venezia, Milano e tante altre città europee e italiane. Un vantaggio che tante Doc toscane e piemontesi si sognano – solo per citare due regioni tra le più conosciute – e che potrebbe facilmente essere messo a frutto.

In questo contesto, tra i produttori di vino il vero fenomeno endemico rischia di essere la comodità, quella di un turismo che paga sempre e comunque, senza particolari esigenze sul prodotto ma piuttosto in cerca di un vino-souvenir, sia come sia. Niente di male, ognuno sceglie come produrre e come piazzare la propria produzione, ma il risvolto porta in qualche caso ad assaggi che – va detto – sembrano essersi fermati agli anni ’90, con sovrabbondanze di legno in cui ogni tratto specifico dei vitigni pare omologato e poco riconoscibile.

Così, mentre in altre zone d’Italia sono spesso i piccoli produttori a guidare una rivoluzione di stile nel prodotto, qui accade che la situazione sia diametralmente opposta e che a spingere l’innovazione – un po’ per effettive capacità e un po’ per la necessità di soddisfare anche altri mercati – siano invece le realtà più grandi, qui rappresentate da Tenute Sella & Mosca (S.p.A. di proprietà Moretti) e cantina sociale di Santa Maria la Palma, che copre da sola la metà della produzione dell’intera Doc.

Photo credit Santa Maria La Palma

SANTA MARIA LA PALMA, ALLA RICERCA DEL CAGNULARI

Una produzione che lo scorso anno si aggirava intorno ai 5 milioni di bottiglie per 18 milioni di euro di fatturato. La sociale di Santa Maria la Palma è nata intorno al 1950 e oggi mette a sistema circa 300 produttori e 700 ettari di vigneto. La maggior parte degli associati sono aziende familiari ed è difficile fare un conto delle persone che si guadagnano da vivere grazie alla cooperativa. Se ne potrebbero stimare circa 2.500, a cui si aggiungono i dipendenti della cantina e l’indotto.
Da un lato quindi, la necessità di vendere il vino oltre i confini della Doc e della Sardegna, su un canale target che è costituito principalmente dalla gdo (65-70% delle vendite), dall’altro quella di gestire equilibri delicati sul territorio e complesse strategie agronomiche, oltre che di comunicazione interna.

Grappoli di cagnulari (photo credit Consorzio Alghero Doc)

Sul fronte della vigna, oggi tutte le pratiche vengono affiancate dai tecnici della società e le decisioni principali, come ad esempio il momento in cui vendemmiare, vengono prese a livello centrale, grazie a un dettagliato lavoro di mappatura e monitoraggio. A livello di prodotto, il lavoro più interessante e forse più inaspettato per una maxi realtà naturalmente legata ai numeri, è quello che l’enologo Gaetano Spina – lucchese – sta conducendo condotto sul vitigno cagnulari.
Si tratta di un vitigno difficile da coltivare. I chicchi sono serrati e all’interno del grappolo fanno fatica a maturare, quando piove poi scoppiano e marciscono, serve molta attenzione – spiega Spina -. Abbiamo quindi iniziato a fare dei passaggi in vigna, toccando a mano i grappoli nella prima fase di invaiatura per far cadere qualche acino e lasciare i grappoli più spargoli. In cantina poi lo tratto come un malato di enfisema polmonare – scherza l’enologo -. Do più ossigeno possibile ai lieviti per farli mangiare bene. Non ci sono rischi di ossidazione. Il tutto ha funzionato. Prima si otteneva un vino più pungente, che andava facilmente in riduzione”. Grazie a questi e altri accorgimenti, oggi Santa Maria della Palma porta in bottiglia tre referenze di cagnulari. Da segnalare la versione vinificata e affinata soltanto in cemento, oggi in commercio con l’annata 2020. Un vino che richiama nel bouquet i frutti aciduli, visciola e ribes, il rosmarino e il timo. Profilo tattile compatto dotato di un tannino delicato e vellutato nell’ingresso in bocca. Tanta freschezza, che dopo un sorso agile sfuma verso un finale caldo e dai toni di tè nero.

L’altro progetto di rilievo è legato alle bollicine affinate in mare. Akènta Sub è uno spumante metodo Martinotti 100% vermentino, a cui viene riservata una presa di spuma più lunga, tra i 3 e i 4 mesi, prima di un affinamento in mare a 40 metri di profondità nella baia di Alghero. A partire dal 2016 si è deciso di celebrare la riemersione delle bottiglie nel mese di luglio con un evento, l’Akènta Day. Brindisi in barca durante il ripescaggio della cantina subaquea, festa e un concerto serale – quest’anno J-Ax, ndr -, seguito per la prima volta nell’edizione 2022 dall’Akènta Summer Fest, un vero e proprio festival diffuso tra le strade di Alghero con show finale di Gabry Ponte.

Che l’affinamento subacqueo sia più o meno una moda in termini di prodotto è assodato, ma in questo caso ciò che resta allo story telling è davvero poca cosa confronto al meccanismo di marketing messo in campo da Santa Maria della Palma, capace di creare economia non solo per la sociale, ma anche per il territorio, tra barche, gite subacquee, operatori turistici, locali aperti e molto altro. “Ci sono persone che stanno prenotando biglietti aerei appositamente per partecipare a questo evento”, dicono dalla cantina.

Un’immagine del recupero delle bottiglie (photo credit Santa Maria La Palma)

SELLA & MOSCA, TRA VALORIZZAZIONE DEL TORBATO E SPINTA SULL’ENOTURISMO
Fondata nel 1899 da due piemontesi, l’ingegner Sella e l’avvocato Edgardo Mosca, la tenuta è dal 2016 di proprietà del Gruppo Terra Moretti e conta oltre 542 ettari di vigneto distribuiti attorno al centro aziendale, in località I Piani. Fin dalla nascita, Sella & Mosca si sviluppa come una moderna azienda agricola, un vero e proprio borgo, con una chiesa, abitazioni per i lavoratori e una scuola per i loro figli, che oggi sono tutti ristrutturati e in parte ancora in funzione. Dalle imponenti cantine, escono ogni anno circa 5 milioni di bottiglie che raggiungono quasi tutto il globo e molti canali differenti. Qui l’enoturismo è parte integrante della strategia d’impresa, grazie a strutture dedicate e operazioni di marketing.

Uno scatto dalla tenuta di Sella&Mosca (photo credit Sella&Mosca)

Sul fronte del prodotto uno dei focus più interessanti è il lavoro di valorizzazione del vitigno torbato, protagonista di quattro referenze. Tra queste, risultano particolarmente interessanti il bianco fermo, Terre Bianche Cuvée 161 e lo spumante metodo classico Oscarì, parte della linea che porta in etichetta i disegni di Marras. Il primo viene ottenuto con l’utilizzo di barrique per il 15% della massa, sia per la fermentazione che per l’affinamento. Nell’annata più giovane, la 2021, porta con sé un bouquet di camomilla, toni mielati, glicine e ricordi vanigliati. Il sorso morbido e affabile, ma animato da una bella acidità, è una buona leva per far scoprire il vitigno a un consumatore in cerca di un bianco di struttura per accompagnare il pasto.

Similmente, ma con un target sia giovane che sofisticato, Oscarì porta una bella espressione di torbato in versione bollicina. Una scelta che per l’azienda è dettata dall’acidità delle uve e che regala un’etichetta di carattere e dall’anima più beverina. Bolla fine e briosa, naso tra il citrino, il gessoso e il miele d’acacia. Sorso teso e secchissimo, salato, che sfuma verso sensazioni polverose sul finale. Oscarì si ispira a un personaggio del posto trasferitosi per un periodo a lavorare a Parigi e poi ritornato con uno stile un po’ dandy. Da qui il nome accentato sulla finale a imitare scherzosamente la pronuncia francese.

IL CONSORZIO CHIAMA, MA NON TUTTI RISPONDONO
Ci prova, il Consorzio Vini Doc Alghero, a coinvolgere la comunità e il comparto turistico, ma l’impresa pare tutt’altro che facile.
Tra le iniziative di quest’anno, l’Alghero Doc Weekend, organizzato in collaborazione con il Consorzio Turistico Riviera del Corallo, il patrocino del Comune di Alghero e il sostegno della Regione Sardegna. Obiettivo: lanciare un nuovo modo di concepire e proporre il turismo enogastronomico sul territorio, attraverso un programma di degustazioni, workshop, visite in cantina e intrattenimento che ha coinvolto la cittadina e i dintorni dal 5 all’8 maggio.

Musicisti durante l’Alghero Doc Weekend (photo credit Consorzio Alghero Doc)

Consapevole della necessaria portata collettiva dello sforzo promozionale, il Consorzio vinicolo ha proposto un incontro-workshop alla Fondazione Alghero dedicato a produttori, istituzioni, operatori del settore, per riflettere su potenzialità, criticità e prospettive del turismo enogastronomico. Perno della discussione, il rapporto tra il vino e il territorio e la responsabilità degli attori professionali, le cantine e le istituzioni, in merito allo stato dell’arte del settore. “Siamo convinti che Alghero sia una città del vino, che il frutto della vite sia un suo pilastro”, ha detto Mario Moro, presidente del Consorzio Vini di Alghero Doc. Tra le prospettive delineate, quella per la costruzione di un circuito integrato di ristoranti, territorio, cantine e luoghi di interesse storico, per portare benessere a tutto il territorio a partire dal turismo. Un turismo che, se guidato dalla leva enogastronomica, può essere più facilmente destagionalizzato, creando una fonte di reddito più ampia e più costante. Unica nota dolente, l’assenza all’incontro proprio del comparto turistico specializzato, che non dà certo un messaggio di coesione. Che sia l’ennesimo sintomo di una filiera che di fronte al turismo estivo di massa si ‘accontenta’?

Il Consorzio in ogni caso non demorde e promette una nuova edizione del Festival, così come altre iniziative per spingere sull’enoturismo. “Voglio organizzarne ancora tanti, di eventi come questo – annuncia il presidente Moro. Ma dobbiamo esserci tutti, tutti insieme. Conosco i miei conterranei e non dobbiamo arrenderci se il nostro intento non viene compreso fin da subito. Dobbiamo andare a parlare con loro, uno per uno, spiegare e riprovare. Ho fiducia nel mio territorio”, conclude.

Photo credit Consorzio Alghero Doc