Dopo il passaggio dal Polo del Gusto a Francesco Illy, il manager-winemaker (entrato pochi anni fa anche nella compagine societaria) lascia e si prepara a nuove sfide. “Non si è trovata una sintonia di obiettivi con la nuova proprietà”. Mastrojanni valutata oltre 50 milioni con la cessione.
Trent’anni da timoniere per traghettare un’azienda agricola storica di Montalcino da piccola realtà familiare a fiore all’occhiello di un gruppo multi-brand come il Polo del Gusto, l’aggregatore creato dalla famiglia Illy per lo sviluppo dei business oltre il caffè.
In trent’anni Mastrojanni si è affermata sui mercati internazionali, è cresciuta per produzione, investimenti tecnologici, qualità dei vini, senza contare l’avvio di un progetto di hospitality che -dalle degustazioni al resort con vista sulla val d’Orcia – ha fatto dell’azienda di Castelnuovo dell’Abate uno dei gioielli di Montalcino. E ora dopo trent’anni Andrea Machetti, che ha guidato questo sviluppo prima affiancando la famiglia dei fondatori e poi facendosi interprete di strategie di crescita condivise con Riccardo Illy, lascia Mastrojanni.

Andrea Machetti con Riccardo Illy in Mastrojanni
UN “DIVORZIO” TRISTE
1992-2022. Il “divorzio” è stato siglato a inizio 2023 dopo che l’azienda vitivinicola ilcinese è passata di mano, come parte della compensazione legata all’uscita di Francesco Illy dalla holding e dal business della famiglia. E proprio con la nuova proprietà sembra essersi rotta la sintonia per il manager-winemaker.
“Non abbiamo trovato una condivisione di visione nella gestione dello sviluppo di Matrojanni”, ammette con parole ponderate Machetti.
“Come i matrimoni, anche le belle storie finiscono – chiosa con amarezza – Ammetto che vivo questo passaggio come un grande dispiacere, perché in questo progetto ci ho messo vita, tempo, cuore e pure qualcosa in più. Eppure il socio maggioritario non condivide l’approccio e il percorso impostato, dunque non c’era più spazio per proseguire su questa strada”.
CRESCITA DA 16,5 A 50,2 MILIONI
Eppure quell’investimento da 16,5 milioni del 2008 su una realtà che fatturava 700/800mila euro ha visto una forte rivalutazione e Mastrojanni è stata quotata 50,2 milioni (nella fase di liquidazione di Francesco Illy da parte della famiglia).
Si aprono ora molti interrogativi. Forse la nuova proprietà punta ad integrare la gestione con la confinante Podere Le Ripi, che però ha identità, volumi, target commerciali e conduzione completamente differenti (si lavora integralmente in biodinamica).
In ogni caso sarà interessante osservare le mosse del puzzle enoico di Francesco Illy, che pochi mesi fa con l’enologo de Le Ripi Sebastian Nasello ha costituito la società agricola Gran Vista nelle campagne romane e a fine 2022 ha acquisito una partecipazione in Bakkanali, neonata realtà a Seggiano sul Monte Amiata.
DA VILLA BANFI ALLE SFIDE FUTURE
Andrea Machetti ha Montalcino nel suo Dna e il suo percorso professionale ha seguito l’evoluzione di un territorio divenuto l’eccellenza del vino italiano.
Montalcinese purosangue, dal 1983 all’89 ha lavorato a Villa Banfi ed è stato il suo trampolino di lancio. “Ho conosciuto il mondo dell’enologia – ricorda – confrontandomi con le tecniche e le tecnologie più avanzate in cantina. Ho anche imparato a fare squadra e cosa significhi fare azienda. Allora eravamo in una fase pionieristica e Montalcino non era quella di oggi, non era così conosciuta e Villa Banfi ha fatto moltissimo per spingere la visibilità di questo territorio nel mondo”.
Dopo l’intenso lavoro di squadra in casa Banfi, Machetti passa a Castiglion del Bosco. “Maurizio Castelli mi ha proposto di andare a gestire con lui l’azienda dopo il passaggio da Prenetal a un gruppo di investitori – spiega – Fino al 1992 sono rimasto a Castiglion del Bosco, poi ho ricevuto la chiamata della signora Mastrojanni (sempre attraverso Maurizio). C’era bisogno di un riassetto, di gestire un riordino del lavoro e della proprietà. Io ero molto affezionato alla famiglia, che già conoscevo, e ho accettato di mettermi in gioco”.
Una scommessa vera, perché al podere dei Mastrojanni non esisteva quasi nulla. “Il podere era tenuto in maniera approssimativa e la cantina era fatiscente – ricorda Machetti – Era la tipica realtà agricola di Montalcino ferma agli anni Ottanta, con due famiglie di contadini che non avevano ancora evoluto l’azienda. Da lì è iniziata un’avventura bellissima”.
Nonostante le complicazioni dettate dai non facili rapporti familiari – prima dei Mastrojanni e poi degli Illy – “la zona aiutava a fare ottimi vini e fin da subito abbiamo iniziato ad ottenere i primi riconoscimenti. È stato un percorso graduale, che poi ha visto un’accelerazione dopo l’acquisizione (nel 2008) della famiglia Illy. Investimenti e lavoro hanno portato Mastrojanni ad essere quello che è oggi”.
Da piccola realtà famigliare che campava con pochi clienti storici, Mastrojanni ha cambiato passo. “Abbiamo portato avanti scommesse importanti e talvolta rischiose – rimarca Machetti – che poi si sono rivelate vincenti. Oltre al lavoro sui vini e sulla nuova cantina, la scelta di puntare sul resort (che all’inizio spaventava la proprietà) ha dato una spinta importante alla crescita”.

il wine resort di Mastrojanni
Che farà ora Andrea Machetti? “In questo momento sto digerendo questo passaggio – ammette – perché dopo trent’anni in un’azienda te la senti addosso. Poi mi guaderò intorno. Non ho fretta e cerco nuovi stimoli, ma ho voglia di affrontare nuove sfide e nuovi progetti”.
MONTALCINO, QUESTIONE DI TERRITORIO
In uscita da Mastrojanni, lo sguardo di Machetti si allarga su Montalcino.
Qual è oggi il polso di questo territorio? Come è cambiato in trent’anni? “Vedo Montalcino ancora numero uno a livello mondiale e sono convinto che i nostri vini continueranno ad essere prodotti di eccellenza – replica – Quello che invece vedo affievolirsi è l’attaccamento al territorio di chi ci lavora. L’avvento di molti investitori arrivati, giustamente, per fare impresa porta a focalizzare meno l’attenzione sulla storia e sulle relazioni tra produttori. Invece per consolidare il successo serve una comunità forte, serve una condivisone di obiettivi che spinga il territorio a crescere”.