I racconti di Guido Martinetti, che da Grom alla guida di Mura Mura ha portato con sé i vini di Walter Massa e di Elio Altare.
Una delle maniere migliori per conoscere Guido Martinetti – imprenditore torinese che assieme all’amico Federico Grom ha fondato le celebri gelaterie – è a tavola. Lì ti accorgi che tra l’assaggiare un piatto e il godersi i sapori, una forchettata dopo l’altra, ci mette lo stesso appetito e la stessa gioiosa curiosità che mette nello scoprire chi ha di fronte. È una di quelle persone che hanno la capacità di fare qualunque tipo di domanda e dare qualunque tipo di risposta, professionale o personale che sia, con serenità e naturalezza, un po’ come un bambino che affronta il mondo come se fosse una tavola imbandita, della quale tutto vale la pena di esser conosciuto.
A Mura Mura, la tenuta che nel 2008 ha acquistato a Costigliole d’Asti assieme a Federico Grom, si dedica alla produzione di vino e anche all’ospitalità grazie al relais Le Marne e al ristorante Radici, poco distanti e parte dell’azienda. Dagli 8 iniziali – destinati alla produzione di frutta per i sorbetti Grom – oggi l’azienda è arrivata a contare 30 ettari, di cui 10 sono vitati prevalentemente a barbera e grignolino, 4 invece si trovano nella Docg del Barbaresco e uno a Serralunga d’Alba, dove produce Barolo.
“Uno dei miei obiettivi quando faccio vino è evitare la sensazione di amaro” e quest’idea te la spiega con uno dei suoi aneddoti preferiti, legato alla cerimonia del tè a cui gli capitava di assistere in Giappone. “Quando dico che fare il vino è come fare il tè, mi guardano come chiedendosi se si tratti di una provocazione o di una stupidaggine – racconta – ma per me si tratta, di fatto, della macerazione di una parte vegetale in un liquido. In questo caso si tratta di una macerazione in acqua e, certo, si tratta di due bevande diverse, ma lo stesso approccio si può applicare ad entrambi”.

Veduta della tenuta Mura Mura
Nel suo lavoro, Guido porta l’esperienza di agronomo e di anni di viaggi tra coltivazioni e allevamenti di tutto il mondo. Un bagaglio che condivide con la consueta naturalezza. “Ogni volta per me è stata una lezione, che si riflette anche su come interpreto la viticoltura e l’enologia. Quando vedi come fanno il cacao in Venezuela e i meloni in Hokkaido, ma potrei andare avanti per ore su tutto quello che ho visto riguardo la produzione del latte… ti porti sempre dietro degli aneddoti, delle piccole chicche di società, di vita del luogo, di tecnica, che inevitabilmente interpreti nel tuo lavoro e mi piace trasmetterle”.
Ma nel lavoro porta anche gli insegnamenti di alcuni esperti vignaioli, ai quali con ammirazione quasi filiale, si ispira e dei quali apprezza molto anche i vini. “Quando si parla dei vini che amo, non posso prescindere dall’affetto e dall’aspetto della formazione. La realtà – racconta – è che io ho un papà molto competente e appassionato, che però è stato sempre molto distante da me. Quindi sono affascinato dalla relazione insegnante-allievo, mi commuovo – sorride – pure con Karate Kid, quando arrivo alla scena di ‘metti la cera-togli la cera’. Non posso fare a meno di considerare questo aspetto della mia vita e due grandi maestri di cui bevo sempre con piacere i vini sono Walter Massa ed Elio Altare. Ce ne sarebbe un terzo – aggiunge – che è Paul Pontallier di Château Margaux. Mi aveva preso in simpatia quando sono stato là a fare uno stage. Quel periodo è stato una lezione di agricoltura prima che di enologia. Mi ha dato un insegnamento pazzesco quella volta che mi ha detto ‘Non sono io che faccio Château Margaux, ma è Château Margaux fa Châteaux Margaux’. Il suo vino lo berrò forse una volta l’anno e ogni volta devo fare un mutuo, ma questa lezione la metto in pratica quando parlo del terroir e di vini puliti, che non abbiano difetti olfattivi. Significa essere molto puntuale nell’azione di cantina e molto delicato. In questo senso per me evitare l’amaro significa non avere sensazioni che mi portino altrove rispetto al territorio in cui mi trovo, rispettando caratteristiche geologiche, pedologiche e anche del genius loci”.

Guido Martinetti con il Barolo Vigneto Arborina di Elio Altare
WALTER MASSA E IL VALORE DELLE PERSONE
“Walter Massa è una persona che sta rivoluzionando un pezzo di Piemonte ed è uno dei pilastri del progetto per cui questa regione potrà diventare apprezzata nel mondo anche per un grande bianco fermo, oltre che per i suoi rossi. Quando bevo il suo vino, pur non considerandolo aderente al mio personale atteggiamento tecnico, percepisco il carattere di Walter”, spiega e questo lo rimanda a quando aveva iniziato a occuparsi di vino, prima dell’avventura con Grom. “Erano i primi anni Duemila e frequentavo spesso Walter in qualità di allievo. In quel periodo Monleale non era un luogo ricco e conservo pillole di storia, di saggezza contadina, che faccio mie e che poi metto in pratica adesso. Avevo intuito la necessità di fare una mia strada, separata rispetto a quella di mio padre, e Walter mi ha dato la possibilità di vinificare le sue uve, una croatina e una freisa. Con le prime ho realizzato un vino dedicato alla mia fidanzata dell’epoca e con le altre, un vino di nome Lauren per mia mamma. Gliel’ho regalato per i suoi 50 anni. Ricordo bene quell’occasione – racconta – Eravamo al Gatto Nero a Torino e Andrea, il sommelier, ha portato a tavola il vino, dicendo che forse era il caso lo assaggiasse mia mamma, dato che era il suo. Lei si è messa a piangere come una fontana, è stato un momento molto bello. Un’esperienza simile si è ripetuta con il mio socio il cui figlio si chiama Romeo. Ho voluto che il primo vino di Mura Mura si chiamasse proprio Romeo. Quello di regalare agli altri qualcosa del tuo lavoro è un concetto che trovo molto importante e che trasmette il valore che dai alle persone. In seguito mi sono dedicato al gelato e non ho portato avanti quei due vini, ma il legame con Walter Massa e il suo lavoro per me va molto oltre l’aspetto organolettico”.

Il Derthona di Walter Massa
ELIO ALTARE, LE RIVOLUZIONI FANNO BENE QUANDO PORTANO A SCEGLIERE
“Mi è capitato di lavorato anche nella cantina di Elio Altare ed Elio ha persino più l’indole del predicatore che del produttore di vino”, racconta Guido, che resta molto legato al suo Barolo Arborina. “Se dovessi definire la sua mission della vita per me sarebbe proprio quella di raccontare le storie che conosce e di farlo con quella sua veste di assertività con cui ha portato rivoluzioni nel mondo vino. E le rivoluzioni fanno bene quando guidano la gente a capire se scegliere una rivoluzione, appunto, o lo status quo”.
“Uno degli aneddoti che ricordo con più affetto è legato a delle questioni burocratiche, più che vitivinicole. Un giorno, arrivo da lui durante la vendemmia e lui, incazzato come una bestia, mi fa vedere le mani. ‘Gliele ho fatte vedere queste, gliele ho fatte vedere’, diceva. All’inizio pensavo che avesse menato qualcuno. Invece poi ho scoperto che aveva appena ricevuto un controllo in azienda e mi ha raccontato che era venuto fuori dalla cantina dicendo all’incaricato ‘Lei ce l’ha presente il suo stipendio? deve ringraziare queste, perché queste sono mani di gente che lavora, non come lei che ha le mani morbide e compila documenti’. Ha ripetuto la predica a me come se fossi io il burocrate. Uno sfogo, a cavallo tra la situazione di grande pressione e questa sua attitudine molto pratica al lavoro. Io ho un atteggiamento meno radicale rispetto a Elio, ma se c’è un uomo che si è fatto da solo quello è lui, e quelle due mani le ho fotografate con la mia mente e le ricordo sempre”.
E forse, conservando gli insegnamenti di questi “padri-vignaioli”, quel rapporto insegnante-allievo si ribalta. “Per come sono fatto, a me piace più raccontare della passione che dell’essere volitivo, del credere in te stesso. È un qualcosa che mi fa sentire coerente con la mia storia e con la mia vita. Quando abbiamo scritto il libro sulla storia di Grom, in tantissimi mi hanno scritto per dirmi che si sono ritrovati nelle mie parole, che avevano vissuto esperienze simili e che avevo trasmesso loro l’entusiasmo di proseguire. Fino a che sembro giovane – conclude sorridendo – sento di poter avere un influenza positiva sui ragazzi e se la mia esperienza può ispirarli, voglio continuare a condividerla”.

Il Barolo “Vigneto Arborina” di Elio Altare