Il fascino discreto del tappo a vite

di Giambattista Marchetto

Franz Haas, Graziano Prà, Jermann, Walter Massa, Pojer e Sandri sono “Gli Svitati”, insieme per raccontare e sostenere la scelta del tappo a vite.

Per qualcuno il vino è mistero, è avventura, è imprevedibilità. Eppure per i produttori l’incertezza non è un pregio, bensì un grosso rischio.

Così, pur se meno pericolosa dell’originale, la roulette russa che fino a qualche anno accompagnava lo stappo di bottiglie con chiusure in sughero ha messo alla prova i nervi di qualche produttore poco incline a trovare talvolta un vino più ossidato, talaltra un’evoluzione poco lineare, nel peggiore dei casi il fantomatico e temutissimo TCA, la molecola che genera il cosiddetto “sentore di tappo”.

Oggi la tecnologia del sughero è molto cambiata, è più raro imbattersi in bottiglie tappate con le chiusure più recenti, ma più di qualche azienda vitivinicola ha deciso che la scelta migliore possa esser rappresentata dal rischio zero.

Ecco allora il tappo a vite, di cui alcuni produttori sono diventati convinti e accaniti sostenitori. Non accontentandosi di usarlo, produttori del calibro di Franz Haas, Graziano Prà, Jermann, Pojer e Sandri e Vigneti Massa hanno deciso di diventare evangelisti dell’alluminio filettato.

svitati tappo a vite

Gli Svitati ovvero Silvio Jermann, Franz Haas, Walter Massa, Mario Pojer e Graziano Prà

GLI SVITATI
Nasce così il manifesto Gli Svitati. Cinque aziende d’eccellenza e pioniere del tappo a vite in Italia hanno scelto di fare fronte comune per raccontare il proprio modo di “fare vino” e, soprattutto, di tapparne le bottiglie, contro i pregiudizi che hanno spesso accompagnato questa tipologia di chiusura.

Le fondamenta del progetto comune sono state gettate già negli anni Ottanta, quando le cinque cantine hanno iniziato a riflettere sul possibile utilizzo di altre tipologie di chiusure. Il loro sguardo “avanguardista” si è inevitabilmente spostato verso le frontiere del vino nuovo, quel futurismo che in quel momento già si stavano facendo largo negli Stati Uniti e in Nuova Zelanda.

Anni di viaggi, degustazioni, confronti e giri di vite, ognuno con la propria esperienza, da Mario Pojer che aveva pensato di “sigillare la bottiglia con la fusione del vetro come fosse una fiala per non lasciar passare l’ossigeno” a Graziano Prà che durante un viaggio in Colorado, ad Aspen, aveva avuto una rivelazione assaggiando un Sauvignon Blanc imbottigliato con tappo a vite e venduto a 30 dollari, il primo segnale che il pregiudizio stesse iniziando a tramontare.

Queste le voci – convintissime e appassionate – dei cinque Svitati ai microfoni del podcast di Vinonews24 a cura di Federica Borasio.

 

“IL VINO COME IL VIGNAIOLO L’HA FATTO”

Ciò che ha portato i cinque Svitati alla scelta del tappo a vite è l’obiettivo che sta dietro al suo utilizzo: il perfetto mantenimento delle qualità organolettiche e del profilo del vino che il lavoro in cantina ha cercato di valorizzare.

Grazie alle sue caratteristiche questa tipologia di tappo permette infatti una micro ossigenazione costante, preservando il vino e permettendo un’omogeneità qualitativa anche nel caso di vecchie annate, oltre ad una corretta evoluzione.

Siamo cinque aziende che cercano la precisione fin nei minimi dettagli – dicono – scegliamo i vitigni che più ci rappresentano e le uve migliori, in cantina abbiamo tutto quello che ci può aiutare a produrre un vino di un’altissima qualità. Ma soprattutto abbiamo a disposizione il tappo ideale per mantenerla. Ecco perché non possiamo non approfittarne. La precisione che abbiamo sempre ricercato oggi è anche un atto dovuto, nei confronti del pubblico e nei confronti del vino”.

IL VINO RASSICURANTE
Niente più avventura, dunque, ma la certezza di aprire una bottiglia come mamma vignaiola o babbo vignaiolo l’ha concepita.

Per dirla con le parole del professor Fulvio Mattivi, ricercatore della Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige, “nelle bottiglie con questa chiusura, a distanza di anni, il vino dimostrava un colore ancora brillante e presentava delle caratteristiche organolettiche ideali. Sia per i vini rossi che per quelli bianchi, in queste degustazioni, le bottiglie con tappo a vite erano uguali alle migliori bottiglie con tappo di sughero”.

Rimane da capire se quelle caratteristiche siano ideali per tutti o se qualche appassionato di roulette rimanga legato ai vecchi riti dell’incertezza, oltre che ad una evoluzione più veloce del vino, ma al netto della grande convinzione con cui gli Svitati spronano all’utilizzo dell’alluminio emerge nettamente il valore commerciale: “per una verticale di 5 annate posso portare 5 bottiglie, non devo portare la riserva per gli imprevisti”, evidenzia Prà. E naturalmente i resi con diagnosi di TCA conclamato dall’horeca diventano un turbamento per chi non si voglia premunire.

Il tappo a vite diventa quindi segno di attenzione verso coloro che se ne verseranno un calice, ma anche per tutti i professionisti coinvolti nella filiera.

Gli Svitati optano inoltre per questa scelta sostenendone la sostenibilità, e oppongono allo status carbon negative dichiarato dal sughero la riciclabilità dell’alluminio.