Spinti da ragioni economiche i viticoltori dell’isola vogliono appropriarsi del nome “prosecco”, una delle denominazioni simbolo dell’Italia.
Nuovo capitolo nella battaglia globale sull’uso dei nomi geografici e della relativa tutela, che questa volta ha come protagonisti i viticoltori australiani, convinti che il termine Prosecco identifichi un vitigno e pertanto non se ne possa limitare l’uso fuori dalla zona identificata dal relativo disciplinare. A sostenere questa tesi una recente ricerca condotta dalla Monash University di Melbourne e dalla Macquarie Law School di Sydney dal titolo “The European Union’s attempts to limit the use of the term ‘Prosecco’”, rilanciata da Winetitles Media, storico editore dell’industria del vino australiano e neozelandese.
Secondo quest’ultimo l’accurato report “dimostra che il Prosecco è un vitigno e che è stato ampiamente accettato a livello internazionale come tale, come dimostrano le prove portate dall’industria vinicola italiana e dell’Unione Europea. Il rapporto – continua l’editore – sottolinea inoltre la mancanza di evidenze che giustifichino il governo italiano e l’Unione Europea che nel 2009 hanno cambiato il nome del vitigno Prosecco in ‘Glera’ nell’Unione Europea”.
Una battaglia condotta all’ombra di quell’accordo di libero scambio Ue-Australia al quale l’Italia affida le proprie speranze di vedere riconosciuta la propria Doc anche nel paese australe, che impedirebbe ai produttori locali di utilizzarlo per commercializzare i propri spumanti realizzati con quelle uve. Chiari i risvolti economici della questione, poiché, come Winetitles Media precisa, “il Prosecco australiano ha raggiunto un valore di oltre 200 milioni di dollari, è una varietà coltivata in venti regioni in tutta l’Australia e al momento sta ottenendo il secondo prezzo medio più alto di qualsiasi altra varietà di uva bianca”.