Il nebbiolo del Monferrato si chiama Albugnano 549

di Daniele Becchi

La piccola enclave nebbiolista dell’astigiano reclama spazio e visibilità. A rivitalizzarla l’associazione dei produttori locali con un progetto di valenza enologica e territoriale.

Un’idea di rinascita nata dal basso e poggiata sulla voglia di fare le cose bene. Un progetto enologico ambizioso, chiamato a superare pericolose dicotomie. Un territorio periferico e prossimo a Torino. Questi i capisaldi del progetto Albugnano 549, con cui l’omonima associazione di produttori vuole valorizzare l’Albugnano, denominazione monferrina che guarda con speranza al futuro. A offrirla è il suo vigneto a base nebbiolo, vitigno al centro dell’attenzione internazionale e del quale oggi, dopo anni di duopolio firmato Barolo-Barbaresco, si stanno scoprendo interpretazioni diverse, figlie di altre zone. Valtellina, Alto Piemonte, Carema e appunto Albugnano, sono terroir e denominazioni che cercano oggi la loro eco, possibile a patto di completare il percorso di crescita intrapreso. Nel caso dell’Albugnano, il territorio dovrà mettere insieme molti passi, che colmino il ritardo oggi esistente in bottiglia e strutturino una mentalità orientata all’accoglienza. Un cambio culturale degli operatori, che l’associazione può e deve guidare supportata da quel Consorzio Barbera d’Asti e vini del Monferrato impegnato a dare spazio e risorse alle tante anime monferrine.

Nebbiolo del Monferrato

La piramide della qualità del nebbiolo monferrino conta oggi di tre livelli, assicurati dal Piemonte Doc Nebbiolo e dall’Albugnano Doc. Il primo nacque alcuni anni fa come punto di sintesi tra la richiesta, espressa da una parte della filiera regionale, di inserire la tipologia ‘nebbiolo’ nel disciplinare del Piemonte Doc e la relativa opposizione langarola all’ipotesi. Gli altri due livelli coincidono con altrettante tipologie, base e superiore, previste dal disciplinare dell’Albugnano Doc, denominazione a base nebbiolo riconosciuta nel 1997. Accomunate dalla medesima base ampelografica, almeno l’85% di nebbiolo, le due si differenziano per il carico di vigneto, che da 9,5 t/ha scende a 8,5, e dall’affinamento minimo di un anno previsto per il Superiore.

Ad arricchire questa piramide, già complessa visti gli esigui numeri, è arrivato nel 2017 l’Albugnano 549, che nelle parole della stessa associazione – oggi composta da 15 membri – rappresenta “un progetto non solo enologico, ma anche di relazioni e di territorio”. In ottica enologica si tratta di uno sviluppo extra disciplinare della Denominazione, che punta a realizzare vini fortemente identitari. Rese contenute, selezione dei grappoli, vendemmia esclusivamente a mano, vinificazione in purezza del nebbiolo, analisi sensoriali e di laboratorio, affinamento di almeno 18 mesi in legno di rovere sono i principali aspetti sanciti da un dettagliato protocollo di campagna e cantina, la cui supervisione tecnica è affidata a Gianpiero Gerbi.

Un Terroir di nome Colline Romaniche

I quattro comuni dove è consentita la produzione dell’Albugnano Doc – Albugnano, Pino d’Asti, Castelnuovo Don Bosco e Passerano-Marmorito – si trovano alla periferia nord occidentale della provincia astigiana, in un’area dove già forte è l’influenza torinese, città che potrebbe assicurare lo sviluppo di interessanti traffici commerciali e turistici. Parte del più ampio Basso Monferrato astigiano, qui si trovano le colline più alte di questa regione storico-geografica che dalla destra idrografica del Po si estende fino ai piedi dell’Appenino ligure. Con i suoi 549 metri sul livello del mare Albugnano può dunque definirsi la terrazza del Monferrato, con un affaccio che dal prospicente arco alpino sembra allungarsi (con deciso ottimismo) fino alla lontana Bologna.

A caratterizzare la zona il reticolo di abbazie e chiese romane che fanno da corona alla Canonica di Santa Maria di Vezzolano, tra i più importanti edifici religiosi di epoca medievale, già oggetto di un progetto di sviluppo turistico che coinvolge ben ventisei chiese della zona. Proprio a questa peculiarità sembrano guardare oggi i produttori, che ritengono ‘Colline Romaniche’ l’entità geografica distintiva e dotata del giusto appeal.

Albugnano 549: la degustazione

Le trame sono accattivanti, i colori intensi e di rapida evoluzione. In bocca è significativa la linea acida e composto il tannino, evidente in alcuni casi. La frutta è carnosa e scura; ampie le sensazioni floreali. Venature gessose e chiari richiami balsamici si uniscono a note di tabacco e sottobosco. Meno convincente la gestione dei legni, che talvolta appesantiscono bicchieri già voluminosi. Notevole la maturazione in bottiglia, che offre ai campioni più vecchi una grande ricomposizione. Nel complesso gli assaggi rivelano una grande base materica. Dal canto nostro abbiamo apprezzato i campioni capaci di scarnirla misurando al contempo il rovere, per dei vini più immediati e freschi, in definitiva più godibili.

Albugnano 549, quale futuro?

Il progetto Albugnano 549 mostra una considerevole forza fuori dal bicchiere, con la sua progettualità di territorio che può davvero fungere come volano di crescita della denominazione, i cui elementi di forza si chiamano nebbiolo e Torino. La riscoperta di valori come unità e lavoro di squadra potrebbe dare la spinta decisiva, tanto più se l’euforia dei produttori riuscirà a contagiare anche amministrazioni locali e operatori economici, figure indispensabili per la riuscita del progetto. La sensazione odierna è che l’associazione abbia (giustamente) lanciato il sasso lontano, ma che non tutti i soggetti coinvolti si siano mossi con la stessa prontezza. C’è da cambiare un sistema culturale adagiato sul minimo indispensabile convincendolo a investimenti di lungo periodo sul territorio: ci vuole del tempo. L’auspicio è che questa voglia di rilancio tangibile diventi patrimonio comune e base delle future policies di sviluppo.

In chiave enologica sono certamente positive le previsioni contenute nel protocollo 549, soprattutto nella parte in cui richiede una vinificazione in purezza del nebbiolo e attente pratiche in cantina e vigna. Resta da chiarire il suo collocamento nella piramide di qualità, specialmente la tipologia Superiore dell’Albugnano Doc Superiore, che sembra troppo simile per non finire coinvolta nella futura riorganizzazione, all’insegna della crescita identitaria del vino. Meno convincente il bicchiere, dove ancora latita la necessaria prospettiva comune, con alcune aziende che propendono verso un’interpretazione più profonda e altre, al contrario, verso una lettura più agile nel bicchiere, da noi preferita. C’è uno spazio tra l’omologazione e l’anarchia che si chiama riconoscibilità. Il giusto mezzo, che anche nel caso dell’Albugnano potrebbe essere il migliore degli orizzonti attesi.

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