Necessarie strategie di rilancio, investimenti su sostenibilità, formazione e enoturismo. Se ne è discusso a Firenze all’apertura del 74mo Anno Accademico dell’Accademia Italiana della Vite e del Vino.
Senza strategie, investimenti e formazione il comparto vitivinicolo italiano rischia di non reggere le sfide che il mercato riserva per il presente e il futuro. Il campanello d’allarme è suonato a Firenze all’apertura del 74esimo Anno Accademico dell’Accademia Italiana della Vite e del Vino, fondata il 30 luglio 1949 a Siena con lo scopo di promuovere studi, ricerche e discussioni sui maggiori problemi riguardanti la vite e il vino.
Secondo gli esperti, senza un piano strategico a livello internazionale, investimenti sull’enoturismo e coltivazioni sostenibili e senza attività di alta formazione, uno dei fiori all’occhiello del Made in Italy potrebbe perdere inesorabilmente valore.
“L’attuale viticoltura italiana è destinata a perdere qualità e mercati se non mette a punto nuove strategie per un futuro di crescita e affermazione a livello internazionale, anche alla luce delle straordinarie potenzialità offerte dal comparto nel nostro paese – spiega Luigi Moio, presidente dell’OIV (Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino) e professore ordinario di Enologia alla facoltà di Agraria dell’Università Federico II di Napoli – Un primo aspetto da considerare è il cambiamento climatico, ma fortunatamente i nostri vitigni storici sono quasi tutti tardivi, per cui non soffrono molto per un eventuale aumento della temperatura media annuale. Anzi, proprio per questa caratteristica, i vini ottenuti dai vitigni italici hanno un vantaggio competitivo enorme che va sfruttato”.
“Un secondo punto – prosegue Moio – è l’enorme crescita della sensibilità ambientale nella società. Problematiche come agricoltura verde, ossia un’agricoltura sostenibile, ‘pulita’ e ‘pura’ nei confronti dell’ambiente pedoclimatico, della pianta, degli addetti ai lavori e di conseguenza dei consumatori non sono più rinviabili. Con scelte lungo tutta la filiera vitivinicola, dall’uva alla bottiglia. Lo stesso discorso vale in cantina, dove tematiche come ‘ecowinery’ e una ‘milde-enology’ sono concetti non più procrastinabili. Soprattutto in questa fase è poi necessario dare ancora più forza all’enoturismo. Le cantine sono dei potenziali porti attrattori e bisogna per questo continuare a metterle in rete in modo ordinato e organizzato allo scopo di creare tutte le condizioni per poter fare una buona accoglienza. Portare gli appassionati sui luoghi di produzione è fondamentale perché il vino non lo si comunica se non si ci si guarda negli occhi”.
Il neopresidente dell’Accademia Italiana della Vite e del Vino Rosario Di Lorenzo (subentrato dopo 20 anni a Antonio Calò) pone invece l’attenzione sugli obiettivi dell’Accademia: “da parte nostra – dichiara – dobbiamo incentivare il coinvolgimento e la partecipazione dei giovani alla vita accademica e promuovere e sostenere attività di alta formazione. Troppe volte si è lamentato che in Italia manchi un centro che costituisca il cervello della viticoltura e dell’enologia italiana. Questo centro vuole essere appunto l’Accademia della Vite e del Vino. Per farlo, dobbiamo adottare una visione più moderna che sappia trasformare il modello attuale in una forma organizzativa e operativa sempre più presente e diffusa sul territorio”.