L’Italia (ri)scopre la passione per il whisky, con almeno 20 distillerie pronte a lanciare un’etichetta da qui al 2030, la maggior parte produttori storici di grappa. Ogni azienda investirà circa due milioni.
Non c’è solo ginepro a ribollire negli alambicchi. Ciò che l’Italia prepara e sta già coltivando da decenni è una passione profonda per il distillato di malto delle isole atlantiche, che ben presto porterà a una produzione di whisky nostrano tutt’altro che limitata a pochi isolati progetti.
Secondo le elaborazioni della guida Spirito Autoctono su dati Distillo Expo, sono più di 20 le distillerie pronte a lanciare almeno un’etichetta di whisky da qui al 2030 e uno su quattro è un progetto nato specificamente per questo scopo. La maggior parte è costituita da produttori storici, in particolare di grappa, che hanno avviato la produzione parallelamente a quelle degli altri distillati prodotti. Tra questi, c’è chi ha già almeno una release di whisky alle spalle e chi tra poco ne lancerà una.
Così, una storia d’amore tutta italiana avviata tra gli anni ‘60 e ‘70 dai primi grandi imbottigliatori di Single Malt, prosegue mettendo radici produttive alla chiara ricerca di uno stile di whisky italiano.
Per coloro che “dal nulla” decidono di avviare una produzione di whisky, passare dal sogno alla realtà prospetta prospetta però un’operazione lunga e onerosa. “L’investimento complessivo per una realtà che ha ambizione di coprire il mercato nazionale e affacciarsi a quello internazionale si attesta intorno ai 2 milioni di euro circa, immobile escluso – dice Claudio Riva, co-fondatore di Distillo Expo assieme a Davide Terziotti – Inoltre, per chi vuole avviare una distilleria di whisky con un progetto che metta coerentemente in conto lo stato attuale del mercato, è necessario prevedere almeno tra le 20mila e le 30mila bottiglie l’anno, oltre ad alambicchi da almeno 600 litri anziché da 150, come è invece sufficiente per il gin”, spiega. Non certo una passeggiata, ma un passo che richiede un progetto solido alla base, con visione produttiva, di marketing e di commercializzazione.
E poi non è solo una questione di soldi, perché col whisky entrano in gioco anche il tempo e l’immobilizzo di capitali. “Una volta che il prodotto è in botte il tempo di attesa ideale è di almeno 5 anni” dice Riva. Nello specifico, da regolamento UE è previsto un “invecchiamento del distillato finale per almeno tre anni in fusti di legno di capacità pari o inferiore a 700 litri”.

oltre 20 le distillerie italiane pronte a lanciare un’etichetta
DISTILLATI DALL’ALTO ADIGE ALLA PUGLIA
Quando dici whisky italiano il pensiero va diretto a Puni, il primo progetto nato in Italia con l’obiettivo specifico di fare whisky. Fondata nel 2010 dalla famiglia Ebensperger a Glorenza (BZ), ai piedi delle Alpi, la distilleria produce oggi diverse etichette di whisky.
Ma l’onda del distillato di malto è solo all’inizio e sul fronte degli investimenti mirati si preannunciano molte novità – alcune ancora top secret – in arrivo nell’immediato futuro, non solo in questa regione.
Anche nel caso delle distillerie storiche occorre soffermarsi in Alto Adige, dove l’eRètico, Italian Single Malt di Psenner, ha già alle spalle più di una release, invecchiato in barrique precedentemente utilizzate per grappa e sherry.
Scendendo lungo il corso dell’Adige, le novità arrivano dal Trentino. A Mezzolombardo, Villa de Varda ha appena imbottigliato il proprio whisky e si prepara alla release in settembre. Intanto, poco più a sud, si prepara la Distilleria Fratelli Pisoni di Pergolese.

i campi di orzo di Villa de Varda – photo credit Villa de Varda
Parlando di spirito, non si può non dare uno sguardo in Veneto. Il primo whisky della regione, il Segretario di Stato, esce un paio di anni fa da una botte ex-Amarone, dopo un lungo riposo nella pancia delle Distillerie Poli di Schiavon.
Ma c’è altro in cantiere dai produttori storici. Lo scorso novembre Bottega aveva annunciato l’avvio della produzione di whisky. L’area riservata al distillato di malto si colloca all’interno del sito produttivo di Fontanafredda (PN) e ha richiesto un investimento che si aggira intorno ai 3 milioni di euro.
Altra terra di distillatori veraci è il Piemonte, dove la storica firma Bordiga 1888 ha iniziato a sperimentare il distillato di malto con il suo Spiga, invecchiato in botti che hanno contenuto la grappa 18 Lune di Marzadro.
Negli ultimi anni in Sardegna, Silvio Carta non è rimasto a guardare e il suo primo whisky vedrà il vetro in autunno.
Anche in Toscana è uscita un paio di mesi fa la seconda produzione di Al Focarile, il “whisky di Maremma” di Priscilla Occhipinti della distilleria Nannoni, che, parallelamente alla produzione della propria etichetta, porta avanti la produzione di whisky per conto terzi. «

Priscilla Occhipinti, master distiller e titolare di Nannoni – photo credit Distilleria Nannoni
Il traguardo del whisky in Italia sembra trovare terreno fertile in un mondo che coi malti ha a che fare da diversi anni, quello della birra.
Arriva infatti dal piccolo birrificio sardo Exmu, il primo whisky agricolo d’Italia, mentre, lasciata l’isola dei nuraghi, dalla birra si parte anche in Lombardia: dopo l’esperienza di mastri birrai, Benedetto Cannatelli e Agostino Arioli, decidono di avviare nel 2020 a Seregno (MB), la distilleria Strada Ferrata.
Rotolando verso sud, in Campania Prisco Sammartino e Anna Rufino sono al lavoro nelle loro Officine Alkemiche.
Il giro si chiude – ma solo per il momento – In Puglia, dove Altamura Distilleries non parte dalla birra ma da un progetto che mette al centro un altro prodotto derivato dai cereali, il Pane di Altamura.
Una scommessa, un’impresa, un viaggio affascinante fatto di tante aziende, sogni, storie e progetti, attraverso i quali ci conduce Eugenia Torelli su Spirito Autoctono.