Il barolo secondo Parusso, il dissacrante della Langa

di Raffaele Fante

Racconto e degustazione dei barolo d’annata faccia a faccia con Marco Parusso, il “dissacrante” di Langa.

Sapido, fresco, agrumato. Non è un verdicchio di Matelica o un gavi, ma il barolo di Marco Parusso, personaggio praticamente unico nel panorama delle Langhe per il suo stile originale. “Quando mi dicono che i miei vini sembrano dei bianchi, lo considero un complimento”, spiega, e chissà quanti altri produttori di nebbiolo direbbero la stessa cosa. Pochi, pochissimi, ma Marco Parusso viene definito “un dissacrante” e si capisce perché anche quando presenta un’annata classica come la 2019, perché di classico i suoi vini hanno davvero poco.

È il suo obiettivo da sempre, da quando a metà degli anni ‘80 uno dei grandi innovatori del nebbiolo e cioè Domenico Clerico gli disse ‘vai e provaci’, a lui che manco beveva vino perché semplicemente non gli piaceva, nonostante fosse nato in una famiglia che possedeva vigne dall’inizio del ‘900. Suo padre Armando ha prodotto il primo Barolo nel 1971 e, quando è morto nel 1991, a soli 64 anni, è toccato ai figli Marco e Tiziana proseguire il suo lavoro. A modo loro, ma seguendo lo spirito del padre “che faceva parte di un gruppo di disperati che ha rivoluzionato il modo di fare il barolo”, dopo gli anni della fame e lo scandalo del metanolo. E ora gli ettari di proprietà dell’azienda sono 28 per circa 150mila bottiglie, di cui oltre un terzo di barolo con le mga divise tra Monforte d’Alba e Castiglione Falletto ma con altri progetti in tutta la zona, come l’etichetta Vegliamonte ad Alba.

parusso cantina

la cantina di Parusso

“VISTO DA FUORI MI PRENDONO PER MATTO”
C’è chi lo considera “dissacrante”, chi “anti-tradizionalista” ma anche “post modernista” e lui per primo sa che “le mie tecniche viste da fuori portano qualcuno a darmi del matto perché sono contro la tradizione”. Ma – ricorda – “io ho iniziato a fare vino negli anni ‘80 quando il barolo era considerato il re dei vini, ma il problema era che non veniva bevuto manco dai re”. Da qui la decisione di cambiare completamente strada lungo un percorso che continua a modificarsi.

La parola d’ordine è infatti dinamicità che si abbina a un’altra relativamente poco usata in Langa, e cioè tecnologia. “È il mio concetto di vita: ogni giorno è un giorno nuovo e io devo avere la dinamicità di interpretarlo e ogni annata è nuova, come un figlio nuovo”. E dinamicità significa non solo saper interpretare le annate partendo dal lavoro in vigna con il controllo delle uve, ma soprattutto lavorare poi il vino in cantina per ottenere sempre qualcosa di diverso. Anche con l’aiuto della tecnologia per modificare e anche controllare ciò che la natura ha prodotto: “Noi abbiamo un grande portavoce che ci porta i messaggi della terra che è il vitigno, ma poi chi deve gestire la terra e il vitigno siamo noi. È come un’auto che si può guidare in mille modi”, spiega Parusso che da sempre cerca di guidare una fuoriserie come il barolo verso le strade più battute dal consumatore. Eppure i premi non mancano, come mostrano le classifiche di James Suckling.

parusso Barrique

la barricaia in cantina Parusso

BOTTE PICCOLA, OSSIGENO E RASPO
I vini di Parusso abbinano quindi tannini e freschezza, rigore e modernità, longevità ma anche pronta beva. Le botti non sono piccole ma piccolissime, tutte da 150 litri, e spesso sono nuove – “Lo dice il Vangelo secondo Marco: vino nuovo in otri nuovi”, precisa il vignaiolo – e per la vinificazione si torna al vino bianco perché è stato proprio Parusso tra i primi a produrre dei bianchi in Langa, scoprendo gusti e profumi che ha voluto portare anche nei suoi rossi. Per farlo, dopo aver lasciato riposare i grappoli subito dopo la vendemmia, utilizza il freddo, con una fermentazione con lieviti indigeni senza solfiti a 20-21 gradi, temperature ben più basse di quelle consuete proprio per valorizzare i profumi dell’uva matura.

Per far questo servono macchinari moderni e particolari (la tecnologia di cui sopra), cioè dei rotomaceratori orizzontali utilizzati prima che il vino arrivi nelle barrique dove resta 24 mesi a contatto con le sue fecce. E in tutto il processo di vinificazione sono due i grandi collaboratori naturali di Parusso, anche loro tutt’altro che abituali: l’ossigeno e il raspo. “Lavoriamo da sempre in iperossigenazione – spiega – e da alcuni anni lavoriamo con questa amicizia con il raspo che ci dà una mano ad affinare i vini”.

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il bâtonnage in cantina Parusso

CLASSICA ALLA PARUSSO
Il risultato di una lavorazione particolare non può che essere un Barolo che, anche in un’annata molto classica come la 2019 con un buon inverno e un’estate regolare e non troppo calda, ha un suo carattere che si sente subito. Addomesticare la natura e renderla più elegante, cercando nello stesso tempo di mantenere sempre l’austerità del nebbiolo, è la sfida di Marco Parusso che punta a produrre sempre un vino riconoscibile e originale.

E i suoi barolo lo sono, ancor di più in un’annata in cui è tutto esaltato: dai forti sentori di frutta, al colore rubino intenso fino alla profondità, con un controllo riuscito della potenza dei tannini e dell’invecchiamento in legno piccolo.

Barolo Perarmando 2019
È il barolo d’ingresso, prodotto con le uve dei 3 cru (50% Bussia, 25% Mariondino e 25% Mosconi) e dedicato al padre Armando fondatore dell’attuale azienda. Ed è subito la frutta fresca a farsi sentire, al naso e al palato, con la ciliegia predominante e anche il mirtillo, per poi passare alla liquirizia e a sentori di erba, con un maggiore impatto del legno rispetto ai cru.

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Barolo Mariondino 2019
Dal cuore di Castiglione Falletto arriva il primo cru dell’azienda che rappresenta perfettamente la filosofia Parusso, con tannini maturi ed eleganti, freschezza e grandi profumi, dalla rosa a una nota balsamica, mentre in bocca ecco la forte nota agrumata che contraddistingue la 2019 e poi la sapidità, con minerali come la grafite, per un barolo sorprendente

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Barolo Mosconi 2019
Colore più tendente al granato rispetto al rubino dei due precedenti, il carattere potente e profondo di Monforte viene fuori nel tannino che nasconde solo in parte il profumo di rosa e la scorza di arancia ben presente, così come spezie e tabacco, per un lungo finale che migliorerà ancora con gli anni

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Barolo Bussia 2019
A proposito di attesa, il potenziale del Bussia ha bisogno ancora di qualche anno per esprimersi del tutto ma già si avverte in un vino che non manca di eleganza unita al rigore di una delle principali mga del barolo. Più chiuso dei precedenti, si avvertono spezia e menta in un palato denso per quello che è il vino più classico dell’azienda.

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